Omelia per l’Ordinazione episcopale di Mons. Giovanni Intini
(Is 61,1-4.6.8-9); 1 Pt 5,1-4; Mc 16,13-19)
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.
L’Apostolo Pietro ha fatto risuonare ancora una volta in questa nostra assemblea la sua professione di fede. La riceviamo da lui, come preziosa eredità, attraverso le generazioni cristiane che ci hanno preceduto, perché a nostra volta possiamo trasmetterla a coloro che verranno dopo di noi. Quelle parole hanno guidato e sostenuto il cammino della Chiesa nel corso dei secoli, dando il coraggio nella prova del martirio e aprendo orizzonti sempre nuovi alla sua missione evangelizzatrice.
La fede di Pietro è dono ricevuto dal Padre che è nei cieli, non è frutto di semplice conoscenza umana – “né carne né sangue te lo hanno rivelato” – anche se si fonda sull’esperienza di comunione profonda con il Gesù storico. Pietro – e con lui gli altri Apostoli – ha preso familiarità con Gesù dal momento in cui ha lasciato tutto per seguirlo; però l’intimità con Lui, che lo ha portato a riconoscerlo come il Cristo, è maturata come dono del Padre, perché “nessuno conosce il Figlio se non il Padre” (Mt 11,27). Ed è grazie a questa amicizia con Gesù, arricchita dall’azione misteriosa del Padre, che alla luce della Pasqua egli – Pietro – è potuto diventare maestro della fede.
La Cattedra da cui oggi egli ci parla è la sua testimonianza di uomo afferrato dalla forza dell’amore di Cristo, ragione prima della scelta di radicalità che ha contraddistinto la sua sequela: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10,28). È grazie a questa adesione incondizionata, fondata sull’amore, che Pietro arriva a sostenere l’impossibilità di una vita senza Gesù:
“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).
L’esperienza di Pietro e degli altri Apostoli – comunione di vita con Gesù e apertura al dono dello Spirito del Padre – è quanto viene proposto a coloro che presiedono nella carità una comunità. Il Vescovo, successore degli Apostoli con l’ordinazione sacramentale, è chiamato ad essere anzitutto uomo trasformato dall’incontro con il Risorto, che vive un dialogo costante con Lui per poterLo conoscere in profondità e divenire così, illuminato interiormente dallo Spirito santo, testimone della sua identità di Figlio di Dio che ha Parole di vita eterna. Se Gesù non fosse il Figlio di Dio perché accogliere e seguire il Suo Vangelo? Sarebbe un maestro come tanti altri apparso all’orizzonte della storia. Quanti ce ne sono stati e… dove sono ora? Lui continua a parlare e a scuotere le coscienze perché è il Figlio del Dio vivente!
Caro don Giovanni, oggi viene in modo particolare consegnata a te dall’Apostolo Pietro questa professione di fede, perché possa essere la forza del ministero episcopale, a cui ti ha chiamato il Santo Padre Francesco e che ti verrà conferito attraverso l’imposizione delle mani dei vescovi presenti. Al Papa vogliamo far giungere, oltre la gratitudine per il dono concesso alla nostra Chiesa e alla Chiesa di Tricarico con la tua persona eletta alla successione apostolica, anche il nostro affetto sincero, avvalorato dalla comune preghiera.
Stasera sei qui con la ricchezza della tua vita sacerdotale. Hai maturato un’esperienza profonda di amicizia con il Signore Gesù, lo hai conosciuto, ti ha conquistato e Gli hai consegnato la vita. Da oltre ventisei anni vivi la tua conformazione sacramentale al Cristo Buon Pastore. Hai esercitato il tuo ministero sacerdotale in diverse responsabilità, soprattutto nel campo dell’accompagnamento spirituale. Hai condotto tanti all’incontro con Colui che ha parole di vita eterna. Molti, grazie a questo cammino, hanno rinsaldato la propria fedeltà al dono della vocazione.
Ora il Risorto, vivente nella sua Chiesa, ti dà un’ulteriore e speciale effusione dello Spirito Santo perché tu possa essere, con la nuova e gravosa responsabilità dell’episcopato, annunciatore mite e forte della Parola che salva, custode della purezza e dell’integrità del deposito della fede, padre amorevole del popolo santo di Dio, di cui ti prenderai cura insieme ai presbiteri e diaconi, tuoi collaboratori nel ministero, accogliente e misericordioso verso i poveri e tutti i bisognosi di conforto e di aiuto (cf Rito di Ordinazione, Impegni dell’eletto).
Ogni tua parola, ogni tuo gesto, ogni tua decisione dovrà trovare ispirazione nella fede proclamata dall’Apostolo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Tutto deve essere riferito a Lui! Il nostro ministero ha ragion d’essere perché c’è Lui, che dobbiamo annunciare con coraggio e con franchezza. “Ecco l’agnello di Dio” (Gv 1,36). Come Giovanni il Battista che, fissando lo sguardo su Gesù che passava, Lo indica a due dei suoi discepoli provocandoli a seguirlo, così anche tu non stancarti di guardare verso di Lui per indicarLo poi come Salvatore e fonte di vita a tutti quelli che incontrerai nel tuo ministero. La gioia più grande la gusterai quando scoprirai che grazie alla tua testimonianza di fede il popolo che ti viene affidato vive più intensamente il suo rapporto con Cristo.
Tu servirai il popolo di Dio nel nome del Signore Gesù. Il tuo servizio pastorale deve trovare ispirazione nello stile di vita di colui che “non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt, 20,28). E questo richiederà da te un continuo esercizio di conformazione a Lui, per far tuoi i sentimenti del Suo Cuore, che ti abiliteranno ad essere icona viva di Lui. Il Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi lo afferma con parole incisive: “Il Vescovo deve essere anima contemplativa, oltre che uomo d’azione, così che il suo apostolato sia un contemplata aliis tradere. Il Vescovo ben convinto che a nulla serve il fare se manca l’essere con Cristo, deve essere un innamorato del Signore” (33). Innamorato del Signore! Un pastore – vescovo o presbiterio che sia – che non è innamorato del Signore, innestato in una comunione profonda di vita con Lui, rischia di essere un albero sterile, che non dà frutti. Ricordiamo il monito di Gesù: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).
Solo conformandoci a Cristo Buon Pastore, come Lui saremo capaci di dare la vita per le pecore che ci vengono affidate (cf Gv 10,11.15) e realizzeremo quanto lo stesso Apostolo Pietro ci ha detto nel brano della II lettura: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1 Pt 5,2-3).
In queste parole c’è tutto quel che ti attende, caro don Giovanni. Il Signore ti manda nella Chiesa di Tricarico, affidandoti quella eletta porzione di popolo, perché tu la possa guidare nella gioia. È bello quel che dice l’Apostolo: la devi sorvegliare, cioè custodire, volentieri. Il Signore ti affida la Sua sposa e tu, come amico dello Sposo, devi vegliare perché nessun lupo rapace venga a insidiarla. E proprio perché la Chiesa è di Cristo, non devi agire come padrone delle persone che ti vengono affidate. Con umile pazienza ti farai compagno di viaggio di tutti quelli che incrocerai nel ministero, a cominciare dai preti, che devi sentire fratelli e figli, nello stesso tempo. Investi il tuo tempo, le tue energie fisiche e spirituali per far gustare la bellezza della fraternità presbiterale. Il Presbiterio che incontrerai, e di cui dovrai essere il cuore pulsante, è l’erede di una grande tradizione sacerdotale. Quanti pastori santi e fedeli hanno fecondato quella Chiesa! Permettimi di ricordarne uno fra tutti: il Venerabile Mons. Raffaello Delle Nocche, che con dedizione assoluta si è consumato per quella comunità diocesana per lunghi anni.
E insieme ai preti dovrai accompagnare il cammino dei Religiosi e delle Religiose, testimoni della radicalità evangelica, e dei fedeli laici che, nella varietà dei carismi di cui lo Spirito li riempie per l’edificazione della Chiesa, si attendono da te una paternità sacramentale che li porti a vivere ciascuno la propria vocazione.
Ma come può un Vescovo far crescere la santità del suo popolo? Facendosi modello del gregge! Questo ti ha chiesto, questo chiede a noi pastori l’Apostolo Pietro. Che grande responsabilità è posta sulle nostre fragili spalle: essere modelli del gregge! Si evangelizza più che con le parole con l’esempio, memori di quanto diceva il Beato Paolo VI nella Evangelii nuntiandi: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (41). E se questo vale per tutti i battezzati, quanto più è vero per noi pastori! Tra poco, durante la preghiera di ordinazione, verrà posto sul tuo capo il libro dei Vangeli, a dirti che tutta la tua vita deve essere avvolta dalla nube luminosa della Parola di Dio. Poi questa Parola ti verrà consegnata e ti verrà detto di annunziarla con grandezza d’animo e dottrina. Ecco, la santità di cui dovrà risplendere la tua vita deve essere fecondata dalla Parola di Dio, non può esserci altra sorgente.
Mi chiedo ancora: come può un pastore evangelizzare divenendo modello del gregge? La risposta è semplice e, nel contempo, impegnativa: vivendo nel quotidiano le esigenze proprie del ministero stesso. L’esercizio del ministero santifica il pastore. Dal brano del profeta Isaia, ascoltato nella prima lettura, attingo tre immagini che sintetizzano bene lo stile di un Vescovo, che leggo in sintonia anche con le spinte impresse al nostro agire ecclesiale da Papa Francesco. Caro don Giovanni, il Signore che ti riempie del suo Spirito ti chiede di essere nella Chiesa di Tricarico buon samaritano che non va mai oltre lungo la strada quando incontra un fratello ferito, collaboratore della gioia di tutti, sentinella che scruta l’orizzonte di Dio nelle urgenze della storia! Sono immagini certamente suggestive, ma soprattutto concrete.
Sei chiamato ad essere il buon samaritano che si china a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a dare consolazione a tutti gli afflitti (cf 61,1-2). Quante situazioni di povertà, di solitudine, di emarginazione, di sofferenza incontrerai! Fermati e con tenerezza di padre condividi le lacrime di chi ti confida i propri drammi e le proprie angosce, sosta “accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito, e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza”. Abbi la certezza che così anche l’oscura notte del dolore si aprirà alla luce pasquale del Cristo crocifisso e risorto (cf Messale Romano, Prefazio comune VIII).
Il Signore ti vuole collaboratore della gioia dei tuoi fedeli. Ti manda a portare il lieto annunzio ai miseri, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di un cuore mesto (cf 61,1.3). Di quale gioia si tratta? Non la gioia effimera che si dissolve in un attimo e lascia l’aridità interiore, ma la gioia del Vangelo che riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Come dice il Santo Padre aprendo l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium “con Gesù sempre nasce e rinasce la gioia” (1). E la gioia è piena soprattutto quando si sperimenta il perdono di Dio, che fa nuovo il cuore dell’uomo. Trasmetti la gioia del Vangelo annunziando e donando la misericordia, che come unguento prezioso deve inondare il corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Sii uomo della misericordia! Così l’abito da lutto diventerà abito della gioia.
Sentinella – tale è l’essenza della vocazione profetica – che sa guardare sempre oltre, non lasciandosi schiacciare e impaurire dal contingente, con uno sguardo soprannaturale e lungimirante. La sentinella, vigile nella notte, sa sempre intravedere i primi bagliori di luce che annunciano la venuta di un nuovo giorno. Il giorno della speranza! La profezia di Isaia va verso l’oltre, perché vede il risultato di quell’azione di misericordia compiuta dall’uomo di Dio che si china sulle miserie umane. Cosa accadrà? Coloro che sono toccati e sanati dall’incontro con il Signore riedificheranno, ricostruiranno, restaureranno (cf Is 61,4). E il Signore concluderà con loro un’alleanza perenne! (cf Is 61, 8). E la vita rifiorirà!
Caro Vescovo Giovanni, buon samaritano, collaboratore della gioia, sentinella della Santa Chiesa di Tricarico, prendi il tuo bastone di pellegrino, cingiti i fianchi con il grembiule del servizio, ricco solo del Pane di vita, mettiti in cammino e percorri le strade della bella terra lucana con il sorriso sul volto e con il fuoco dell’amore di Dio nel cuore. Edifica la Chiesa di Tricarico nella comunione e nella corresponsabilità di tutte le sue componenti e fa’ che sia fermento di novità evangelica in tutto il territorio. Amala “come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5, 25).
Brilli sul tuo ministero la stella luminosa della santa Madre di Dio. Interceda presso il Buon Pastore e custodisca e ispiri i tuoi passi, perché Vescovo e popolo possiate camminare fedelmente verso il Regno. E siano vostri compagni di viaggio i Santi Patroni delle nostre comunità, che tra poco invocheremo e che certamente dal cielo gioiscono con noi per questo evento di grazia.
Concludo con la preghiera liturgica, che ben sintetizza il messaggio della Parola di Dio ascoltata:
O Dio, pastore e guida di tutti i credenti,
guarda il tuo servo Giovanni,
chiamato a presiedere la Chiesa di Tricarico;
sostienilo con il tuo amore,
perché edifichi con la parola e con l’esempio
il popolo che gli hai affidato,
e insieme giungano alla vita eterna. Amen.