Omelia Messa Crismale

Fratelli e sorelle carissimi,

presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici della nostra amata Chiesa di Conversano-Monopoli, “grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra” (Ap 1,5). Con le parole dell’Apostolo Giovanni mi rivolgo a voi “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1Pt 2,9) per invitarvi, come accadde un giorno nella sinagoga di Nazaret, a volgere lo sguardo su Gesù. I nostri occhi siano fissi su di lui, in un ascolto della sua Parola colmo di attesa, meraviglia, stupore, fede e speranza. Sì, abbiamo bisogno della sua Parola. In un tempo in cui risuonano tante parole, a volte inutili e senza senso, molto spesso foriere di morte, abbiamo bisogno di parole vere, parole che edificano e non distruggono, parole che aprono alla riconciliazione e non alle contrapposizioni, parole che esortano a gesti coraggiosi e non all’indifferenza, parole che portano alla solidarietà con gli ultimi e non alla emarginazione dei poveri. Come quelle risuonate nella sinagoga di Nazaret, pronunciate la prima volta dall’antico profeta per incoraggiare la speranza di Israele e fatte proprie da Gesù quando ha dato inizio al suo ministero messianico, riconoscendo che in lui si sono definitivamente compiute. Carissimi, non distogliamo lo sguardo da Gesù, anzi cerchiamo il suo volto e nutriamoci della sua Parola, ma, al tempo stesso, non dimentichiamo che quelle parole profetiche oggi sono consegnate a noi, unti di Spirito Santo nel Battesimo e nella Cresima – e noi presbiteri anche nell’Ordine sacro – e mandati “a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19). Oggi anche per noi si compiono quelle parole e in questa santa assemblea ognuno di noi può e deve dire: “lo Spirito del Signore è sopra di me!” (Lc 4,18; Is 61,1). Carissimi, siamo tutti colmi della presenza dello Spirito e tutti siamo mandati, nessuno escluso! È la nostra vocazione originaria, comune a tutti i battezzati, partecipi della vita di Cristo profeta, sacerdote e re.

In questo giorno santo, nel cuore della grande Settimana, siamo radunati nella nostra Cattedrale per condividere un momento di intensa comunione ecclesiale, di profondo significato liturgico e spirituale. È il giorno in cui il santo popolo di Dio si stringe attorno ai suoi pastori, chiamati a rinnovare le promesse sacerdotali per ripartire con rinnovata passione nel servizio a Cristo, al Vangelo, alla Chiesa, alla storia. Cari Presbiteri, rinnovare le promesse sacerdotali significa ritornare al cuore del nostro ministero, della nostra comunione e della nostra missione; è ritornare alla freschezza e alla bellezza dei giorni dell’innamoramento, quando attratti dalla voce del Maestro che ci invitava a lasciare tutto per seguirlo, gli abbiamo detto di sì e ci siamo lanciati nell’avventura della sequela. Rinnoviamo perciò oggi con profonda convinzione il nostro “sì” al Signore Gesù. Un sì che sa di croce, ma anche di risurrezione. Un sì che, giorno dopo giorno, vuole continuare a generare speranza là dove Dio ci ha posti. “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso” (Eb 10,23). E noi ci fidiamo di lui! Per questo, ognuno di noi tra poco dirà “Sì, lo voglio”, quando verrà chiesto se vogliamo unirci e conformarci intimamente al Signore Gesù, rinunciando a noi stessi, riappropriandoci dei sacri impegni assunti il giorno della ordinazione. Quel “Sì, lo voglio” è un atto di amore verso Gesù e ci unisce sempre di più a lui. Molto opportunamente, da più parti, si dice che è necessario ripensare la vita e il ministero dei presbiteri nella Chiesa oggi. Anche noi, nel nostro presbiterio, ci interroghiamo continuamente su questo e tutti desideriamo intraprendere percorsi nuovi che diano freschezza, entusiasmo, coraggio al nostro ministero. Ebbene, non dimentichiamo che ogni autentico rinnovamento deve partire da questa radice feconda: la comunione di vita con il Signore Gesù. Una relazione viva e vitale con lui ci rende capaci di costruire relazioni genuine nel e con il popolo di Dio. Servi premurosi del popolo di Dio: così la liturgia nel prefazio della Messa odierna definisce i Presbiteri. Credo che questa espressione delinei bene la nostra identità e il nostro compito. E lo saremo nella misura in cui “spinti dall’amore di Cristo” consacreremo tutte le nostre forze alla causa del Vangelo, “lasciandoci guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i nostri fratelli” (Rinnovo delle promesse sacerdotali).

Cari fratelli Presbiteri, come pastore di questa Chiesa, sento forte il desiderio di ringraziarvi uno a uno per il vostro ministero. So bene quanto grande è la fatica quotidiana nell’accompagnare il cammino delle comunità a voi affidate. Non perdetevi d’animo e nei momenti di aridità, di solitudine, di delusione, di peccato, di sconforto, ognuno, facendo sue le parole profetiche, ripeta a se stesso: “lo Spirito del Signore è su di me! Egli mi manda! Egli è con me!”. Riscoprite la forza della preghiera e della Parola accolta nel cuore con umile fiducia, riscoprite la bellezza dell’adorazione che immerge nel Mistero e della fraternità sacerdotale che vi lega indissolubilmente alla grande famiglia presbiterale. Siate nella nostra Chiesa testimoni della fede quando celebrate l’Eucaristia con cuore ardente, quando vi fate prossimi ai malati e agli ultimi, quando accompagnate i giovani con pazienza e le famiglie con saggezza e lungimiranza, quando restate fedeli nella fatica quotidiana, anche laddove il seme sembra non dare frutto. In tutti questi momenti sentite me, vostro Vescovo, vicino a ciascuno di voi, sempre pronto a darvi fiducia, assicurando la mia amicizia fraterna. Il mio anelito più grande è mantenere unito il nostro presbiterio, dove ciascuno vive responsabilmente il proprio impegno lì dove l’obbedienza lo ha portato. So che questo è anche il desiderio di ognuno di voi. Accogliamoci gli uni gli altri, allargando braccia e cuore.

Quest’anno, la celebrazione odierna assume una luce ancora più intensa, perché è illuminata dal cammino del Giubileo della Speranza. Esso è un dono offerto alla Chiesa per rinnovarsi interiormente e risplendere di quella bellezza divina che le appartiene in quanto sposa di Cristo, abitata dallo Spirito Santo. Esso vuole essere profezia di un tempo riempito della presenza del Risorto, che invita ad alzare lo sguardo verso il futuro con fiducia, nonostante le ombre dell’ora presente, segnata da inquietudini, da guerre, da solitudini e da ferite interiori.

Il Giubileo è anche invito ad aprire le porte della speranza nei tanti luoghi in cui pullula la vita, ma dove si avverte pure la fatica dell’impegno quotidiano: nelle case. nelle parrocchie, nelle carceri, negli ospedali, nei luoghi del lavoro e della fragilità e nelle periferie dell’anima. Come non ridestare la speranza nelle famiglie provate da crisi e disagi, nei giovani spesso disorientati, nei migranti in cerca di futuro, ma anche nei sacerdoti e consacrati/consacrate a volte scoraggiati per la fatica che la testimonianza evangelica a volte comporta? Carissimi, nessuno sia escluso dall’abbraccio della speranza cristiana!

La Parola ascoltata oggi ci interpella in modo speciale: pastori e popolo santo di Dio, tutti siamo chiamati a essere ministri della speranza. In un tempo segnato da crisi sociali ed economiche, da disorientamenti profondi e da un diffuso smarrimento spirituale, la nostra missione è quella di ungere il mondo con l’olio della consolazione, di fasciare le tante ferite, di restituire dignità ad ogni persona.

Popolo santo di Dio, che oggi partecipi con fede a questa liturgia, sappi che l’unzione ricevuta nei sacramenti è segno della speranza che Dio ti affida. Siate anche voi, cari fratelli e sorelle, testimoni di speranza: nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nella società. Abbiate il coraggio della mitezza, la tenacia della carità, la gioia del perdono. Sono questi i segni che dicono che siamo abitati dalla speranza cristiana.

Oggi è anche il giorno in cui benediciamo gli Oli santi e consacriamo il Crisma, segni sacramentali della grazia di Dio che agisce nel suo popolo, accompagnando le tappe fondamentali della vita cristiana, facendo crescere la santità battesimale.

L’Olio dei Catecumeni ci richiama alla lotta contro il male, che molti conducono ogni giorno nella vita familiare, nel lavoro, nelle situazioni difficili. L’Olio degli Infermi è carezza di Dio sui nostri anziani, sui malati, su quanti portano la croce del dolore con fede. E il Sacro Crisma, fonte di grazia per battesimi, cresime, ordinazioni, ci ricorda che tutta la Chiesa è una comunità “unta” per la missione. Lasciamoci inondare dalla fragranza e dal profumo di questi oli. Sono il segno che lo Spirito del Risorto è in mezzo a noi e ci rende partecipi della santità di Dio: “la sua potenza divina ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita vissuta santamente, grazie alla conoscenza di colui che ci ha chiamati con la sua potenza e gloria. Con questo egli ci ha donato i beni grandissimi e preziosi a noi promessi, affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura divina” (2Pt 1, 3-4).

Cari confratelli, lasciate che torni a rivolgermi a voi, che avete la responsabilità di essere guide solerti delle nostre comunità. Davvero il mondo ha sete di speranza. E noi, pur fragili, siamo chiamati a portarla. Non perché siamo migliori, ma perché siamo stati scelti per questo compito. Non perché abbiamo tutto sotto controllo, ma perché ci fidiamo del Signore. Siamo seminatori. Alcuni semi cadranno sul terreno duro, altri tra i rovi, altri sul terreno buono. A noi il compito di seminare. Con le mani unte dallo Spirito. Con il cuore reso vivo dal Vangelo. Con gli occhi fissi su Cristo, il primo Seminatore, il Buon Pastore, l’unico che può far crescere la speranza che salva. Ricordiamo che non possiamo seminare speranza se prima non la custodiamo nel cuore. Come possiamo annunciare che Cristo ha vinto la morte se noi per primi ci lasciamo spegnere dall’indifferenza o dalla insoddisfazione permanente, dal giudizio senza misericordia, dalla stanchezza, frutto anche dell’assenza della preghiera?

Cari fratelli e sorelle, chiediamo oggi al Signore che i nostri sacerdoti, travolti dalla gioia della Pasqua, siano uomini della speranza, capaci di guardare oltre, di vedere fioriture anche nel deserto, di riconoscere nei volti dei fratelli e delle sorelle che servono il volto di Cristo. State loro vicino, amateli e custoditeli nella vostra preghiera.

Permettete che in questo contesto faccia ora con voi memoria dei fratelli che in questo anno celebrano anniversari importanti della loro vita presbiterale. Penso ai carissimi don Vincenzo Di Bello, don Battista Romanazzi, Padre Gennaro Galluccio dei Benedettini, che celebrano il 70mo di Ordinazione sacerdotale, a don Gaetano Luca, don Maurizio Caldararo, don Vito Castiglione Minischetti, che celebrano il 25mo di Ordinazione presbiterale, come pure ai carissimi Diaconi Rocco Giannini e Leonardo Rossi, che celebrano il 25mo di ordinazione diaconale. A tutti loro il nostro augurio colmo di affetto, accompagnato dalla gratitudine per la loro vita consegnata per sempre a Cristo e alla Chiesa. Siate preti contenti di essere preti! Con gioia affido alla preghiera comune don Leonardo Paolillo dei Missionari del Preziosissimo Sangue, nativo di Putignano, che sabato 26 aprile ordinerò presbitero, e don Vito Goffredo dei Benedettini, che domenica 27 aprile sarà ordinato diacono. E nella gioia di questo dono stupendo che è il ministero ordinato, permettete che intraveda all’orizzonte anche le ordinazioni presbiterali dei nostri don Cosimo Martinelli e don Emanuele De Michele. La preghiera sia il segno del nostro affetto per loro e sia, nello stesso tempo, impetrazione del dono di nuove vocazioni al ministero ordinato.

Nello stesso tempo, non possiamo non fare memoria grata dei confratelli che, conclusa la loro operosa giornata terrena, hanno raggiunto la Casa del Padre. Li ricordo con quell’affetto e quella gratitudine che la morte non può affievolire: don Antonio Di Lorenzo, don Sergio Basso, don Vincenzo Togati, don Pasquale Cantalupo, don Peppino Cito, don Rosario Pacillo e don Michele Masi. Con loro ricordo anche il diacono permanente Angelo Calabrese. Riposino tutti nel Cuore di Dio, nella gioia dei Santi, partecipi della liturgia celeste.

Carissimi, in questo Giubileo della Speranza, la nostra Chiesa di Conversano-Monopoli è chiamata a farsi tenda accogliente, casa aperta, cammino di vita condiviso con i piccoli e gli ultimi. Nessuno sia escluso dal nostro servizio, anzi se un’attenzione in più ci deve essere, sia per gli scartati, per chi non conta nulla agli occhi dei benpensanti. In comunione con tutta la Chiesa, camminiamo allora con passo umile ma deciso, verso un futuro che è di Dio e che Dio ci affida, perché ciascuno possa fare la sua parte con spirito di fede e con responsabilità.

Affidiamoci a Maria, Madre della Speranza: lei, che ha creduto anche ai piedi della croce, ci insegni a custodire e generare speranza. Ci aiuti a portare la luce del Risorto nel cuore del mondo. Con la sua preghiera, ella ci renda tutti, pastori e fedeli, annunciatori, seminatori, testimoni della speranza, oggi e sempre.

Amen.