La configurazione attuale della Chiesa di Conversano-Monopoli costituisce l’approdo di un intreccio di vicende storiche, ambientali, culturali e soprattutto religiose che paesi, casali e contrade, comunità monastiche e conventuali, dominatori laici ed ecclesiastici hanno percorso in un periodo compreso tra il IV sec. e il 30 settembre del 1986.
Il territorio diocesano insiste nel sud-est barese tra i rilievi murgiani e il litorale adriatico al confine tra le province di Bari e di Brindisi e abbraccia 11 paesi: Conversano, Monopoli, Rutigliano, Turi, Castellana Grotte, Putignano, Noci, Alberobello, Polignano a Mare, Fasano e Cisternino (questi ultimi due appartenenti alla provincia brindisina).
La diocesi è suffraganea della sede metropolitana di Bari-Bitonto e fa parte della Regione Ecclesiastica Pugliese. Il vescovo è Giuseppe Favale, nominato il 5 febbraio del 2016, e risiede nella città di Conversano, la cui cattedrale è dedicata alla Vergine Assunta. Patrona della diocesi è la Beata Vergine Maria invocata con i titoli di Madonna della Fonte e Madonna della Madia. Il clero conta 142 tra sacerdoti secolari e religiosi e 17 diaconi permanenti; numerose sono le comunità conventuali e monastiche, e la popolazione si aggira attorno alle 250.000 anime.
L’itinerario storico qui descritto si snoda diacronicamente partendo dalla più antica tra le diocesi impegnate nell’evangelizzazione del territorio: Egnazia, presto cancellata dalle orde barbariche; prosegue con la costituzione delle nuove sedi episcopali in Monopoli, Conversano e Polignano, e le conflittualità giurisdizionali rispettivamente della sede di Monopoli con gli abati benedettini di Santo Stefano di Monopoli, cui subentrano poi i Gerosolimitani, sulla città di Fasano, della sede di Conversano con questi stessi su Putignano, con il monastero nullius di S. Benedetto di Conversano sulla Terra di Castellana, e con gli arcipreti mitrati sulla città di Rutigliano; coglie gli effetti della riforma tridentina soprattutto attraverso la pastoralità dei vescovi nelle visite pastorali e nei sinodi diocesani, e la fondazione dei seminari in Monopoli e Conversano; perviene all’età contemporanea, segnata dalla soppressione della città-diocesi di Polignano nel 1818, e dalla nuova attenzione alla formazione scolastica della futura classe dirigente con il Collegio conversanese, fino al graduale avvicinamento delle due “diocesi sorelle” e alla conseguente unificazione del 1986.
Dall’antica Egnazia paleocristiana alla organizzazione feudale delle Chiese
La sede episcopale di Egnazia, figura documentariamente tra le più antiche di Puglia con la sottoscrizione di Rufenzio vescovo Egnatinus e Ignatinus ai concili romani di papa Simmaco del 501 e 502; tuttavia le ultime campagne di scavo archeologico (2006-2007) permettono di annoverarla, insieme a Canosa, come il sito cristiano più antico tra le diocesi della regione grazie a queste testimonianze giudaico-cristiane rinvenute: una lucerna con raffigurazione della menoràh (simbolo propriamente ebraico, ma assunto anche dai primi cristiani), una basilica del IV sec., sottostante a quella già nota “di Rufenzio” (V-VI secolo), identificata con un’abside a raggiera, in cui è stata rinvenuta una moneta coniata sotto l’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363), e ancora un ambiente episcopale attiguo con pavimento musivo. La retrodatazione al IV sec. delle origini della Chiesa egnatina fa comprendere ancor meglio lo scenario della prima evangelizzazione lungo le vie appio-traiane.
La diocesi di Monopoli dalle origini medievali alla fine del XVIII secolo
Quando nel 545, secondo gli storici locali, i goti irruppero nel territorio di Egnazia − ma più verosimilmente durante le incursioni saracene del IX-X secolo −, gli abitanti trovarono scampo riversandosi sul casale costiero abitato in gran parte da pescatori, il Portus Poediculorum, volgarmente detto delle “tane” a motivo delle abitazioni ipogee. Si formò così Monopoli, “la città unica”, con la fusione delle due civiltà, più raffinata ed evoluta quella egnatina rispetto all’altra più rozza, per avviarsi a divenire un importante emporio commerciale.
Nel territorio intanto, in seguito alle persecuzioni iconoclaste orientali dell’VIII sec., approdarono i monaci basiliani, trovando nell’habitat rupestre i luoghi residenziali eremitici; qui svilupparono una civiltà rupestre, affrescando gli ipogei destinati a luoghi di culto secondo modelli pittorici bizantini, che nel basso Medioevo si piegarono al gusto latino. L’iconografia più ricorrente raffigura il Cristo Pantocratore, la Vergine e i santi Giovanni Battista ed Evangelista. Tali testimonianze sono tuttora visibili, nonostante il devastante degrado e l’incuria dei secoli passati.
La sede di Monopoli, espunta ogni produzione apocrifa − ossia la bolla del 611, riferibile invece a Bonifacio IX (XIV sec.), l’inesistente partecipazione di tal Basilio al concilio Lateranense del 649, i vescovi Eucherio e Solperio, e la lettera di papa Stefano del 256 (ma si tratta di refuso dell’anno 756) −, compare per la prima volta nella documentazione dell’aprile 981 unita alla sede di Brindisi e Ostuni sotto il governo del vescovo Gregorio. Tale dipendenza viene ribadita nel sec. XI dai papi Leone IX, Nicola II, Alessandro II e Gregorio VII, e nel 1033 viene citato anche il nome di Leone, vescovo di Monopoli, confermato dall’arcivescovo di Brindisi Giovanni. Ma il 1° aprile 1091 il vescovo Romualdo ottiene da papa Urbano II la piena autonomia di Monopoli, che sarà ribadita dai successivi pontefici e conservata nonostante l’estremo tentativo di Federico II nel 1219 di ricondurla sotto l’arcivescovo di Brindisi.
Romualdo è la figura fondamentale nella storia della Chiesa monopolitana, tanto che il popolo non tardò ad accreditarlo della fama di santità. Oltre ad aver ottenuto l’autonomia della sede, si rese promotore della costruzione della cattedrale romanica, avviandone i lavori nel 1107 con l’aiuto di Roberto Bassavilla, e il cui completamento, di 10 anni più tardi, s’intreccia con il culto mariano dell’icona della Madonna della Madia (XIII sec.) intessuto di elementi puramente letterari: l’approdo dell’icona bizantina sulle coste della città il 16 dicembre 1117 trasportata su una zattera, le cui travi furono utilizzate per la copertura dei tetti del tempio.
Tra il 1085 e il 1088 il conte di Conversano Goffredo, la cui dominazione s’estendeva fino a Brindisi e Lecce, nella sua politica filopapale aveva fondato il monastero benedettino di Santo Stefano a qualche km dalla città, corredandolo di larghe donazioni. A questa munificenza comitale il presule aggiunse la propria, concedendo all’abate Laurenzio la giurisdizione spirituale su Fasano. Di qui l’inizio della conflittualità e della successiva rivendicazione dell’episcopato monopolitano. Il 16 dicembre 1175 l’abate Palmerio riceveva da papa Alessandro III la conferma giurisdizionale su Fasano, come pure su Putignano, città di antica giurisdizione della Chiesa di Conversano; ma in concomitanza con il ricorso rivendicativo del vescovo conversanese, accolto dallo stesso papa nel 1177, anche il vescovo di Monopoli Stefano conseguiva il 10 febbraio 1177 e il 27 febbraio 1180 la conferma giurisdizionale data a Romualdo, ribadita poi il 22 marzo 1231 al vescovo Giovanni con bolla di Gregorio IX, stante il persistente rifiuto di fatto degli abati benedettini.
La giurisdizione tuttavia rimase sempre sotto il governo benedettino, a cui subentrarono con bolla di Giovanni XXII del 13 giugno 1317 i balì dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Gerusalemme, denominato poi di Malta, i quali la conservarono fino al decreto murattiano del 1806 che aboliva tutte le feudalità, e Fasano nel 1811 ritornava sotto la giurisdizione del vescovo di Monopoli.
A distanza di un quarantennio dal breve episcopato di Dionisio di Borgo San Sepolcro (1340-42) − già professore di teologia e filosofia all’Università di Parigi e amico del Petrarca che ne pianse in versi la morte − lo scisma d’Occidente (1378-1417) si abbattè anche sulla Chiesa monopolitana. Al francescano Giovanni de Gallinario, vescovo dal 16 maggio 1373 e poi trasferito a Tricarico nel 1382 con provvisione di Clemente VII e dunque di obbedienza francese, subentrò il canonico suddiacono Giovanni de Petramala, provvisto dallo stesso papa e che nel 1399 sembra essersi insediato sulla cattedra di Ugento; ma contemporaneamente vi governarono il cistercense Francesco Carboni, promosso al cardinalato nel 1384, e l’anno dopo Pietro Caffarino, ambedue di obbedienza romana, perché provvisti da Urbano VI. E tale obbedienza proseguì affermandosi nei successori: Giacomo Palladini l’11 ottobre 1391, poi trasferito a Taranto, e Marco di Teramo il 24 marzo 1400, ambedue provvisti da Bonifacio IX; quest’ultimo presule venne trasferito a Bertinoro (Forlì), da dove giunse Urso Afflitti il 14 dicembre 1404 e alla sua morte, l’anno dopo, il 9 settembre succedette il napoletano Ottone de Mormilis, entrambi con provvisione di Innocenzo VI; alla rinuncia di Ottone, con la nomina di Giosuè de Mormilis, provvisto il 9 marzo 1413 da Giovanni XXIII, prevalse l’obbedienza pisana; legittimato da Martino V, egli sarà trasferito nel 1430 a Sant’Agata de’ Goti (Benevento).
Grande risonanza diocesana ebbe l’evento della consacrazione della cattedrale ad opera di Antonio del Pede il 1° ottobre 1442, con i vescovi concelebranti di Conversano, Polignano, Ostuni e l’abate di San Vito, così come prestigiosa fu la ricaduta d’immagine del vescovo Alessandro Manfredi il quale riottenne l’antico titolo feudale di barone di Cisternino con decreto di Ferdinando I il 30 novembre 1463.
In questi secoli notevole è stata la produzione artistica nella diocesi monopolitana che si dispiegò nelle linee architettoniche romaniche della cattedrale (secc. XII-XIII), di Santa Maria Amalfitana (sec. XII), dell’abbazia di Santo Stefano (sec. XI), del Tempio di Seppanibale nella vicina Fasano (sec. X), della chiesa di San Nicola in Cisternino (sec XII-XIII); di rilevante pregio sono gli smalti di origine bizantina della stauroteca argentea (sec. X) e l’icona della Madonna dello Zaffiro (sec XIII), ora nel Museo diocesano, e il Polittico di scuola cretese (sec XII) che troneggiava sull’altare maggiore della già citata abbazia gerosolimitana di Santo Stefano (ora al Museo di Boston).
Piegata la dominazione veneta iniziata a Monopoli nel 1395, Carlo V nel 1529 vi introduceva il cosiddetto privilegio carolino, cui aggiunse nel 1550 quello dell’alternativa: con il primo si riservava il diritto di presentazione episcopale nelle città regie, qual era Monopoli, e con il secondo stabiliva per le nomine episcopali il principio di alternanza tra “regnicoli e forestieri”, non sempre qui rigidamente osservato. Perciò si assiste a una pastorale frammentata e spesso succube della politica spagnola, di cui i presuli avvicendati finivano per essere considerati come funzionari.
Non mancarono tuttavia vescovi di grande levatura culturale e pastorale, quali furono Fabio Pignatelli (1561-1568), che partecipò al concilio di Trento e attese alla riforma del clero cittadino; Giacomo Macedonio (1608-1627), già cappellano del re spagnolo, che tentò il recupero della giurisdizione spirituale su Fasano e fu committente di opere artistiche nella cattedrale affidandole a rinomati pittori; e soprattutto Francesco Surgente (1640-1654). Quest’ultimo, nominato quand’era già arcivescovo di Brindisi, continuò a conservare il titolo arcivescovile e l’anno dopo iniziò la sua visita pastorale nella diocesi; avviò riforme tra il clero cittadino di 350 preti e immise correttivi per migliorare il servizio cultuale; lottò contro l’opposizione delle autorità religiose e civili di Fasano al punto da comminare loro la scomunica; e poiché non vi era un seminario, creò un centro docente ludus litterarum per i candidati al sacerdozio. Quando nel 1647 scoppiò la rivolta popolare nella città, riuscì a ottenere con il suo autorevole carisma la pacificazione civile, respingendo la proposta del governatore di armare i suoi preti contro il popolo. Negli ultimi anni infine difese l’immunità ecclesiastica contro le vessazioni del conte di Conversano.
La riforma tridentina promosse nella città un incremento devozionale, favorendo lo sviluppo confraternale, e l’edilizia sacra. Il primo si ascrive alle categorie corporative in risposta alle esigenze socio-caritative della popolazione; così alle più antiche confraternite di S. Cataldo (1464), del SS. Sacramento o della Madonna della Madia (1513), del SS. Rosario (1570-80) e del SS. Crocifisso (1594), si aggiunsero nel Seicento le nuove di S. Giuseppe (1613) ad opera dei falegnami, dei SS. Crispino e Crispiniano (1634) dei calzolai, del Purgatorio (1668) dei nobili e possidenti, e altre minori.
Nello sviluppo edilizio sacro si distinsero quali committenti le più importanti famiglie cittadine, al punto che si è parlato di una rifeudalizzazione. Venne ampliata la chiesa di S. Domenico con stilemi rinascimentali (1561) e, per citare le più importanti, furono abbellite le chiese barocche: di S. Francesco da Paola con l’annesso convento dei paolotti (1530), il cui santo fondatore nel 1648 fu dichiarato patrono della città; del Carmine (1530), dei carmelitani calzati, e quella dedicata ai Santi Giovanni Battista e Anna (oggi Santa Teresa), con il convento delle carmelitane scalze o teresiane; dei SS. Giuseppe e Anna delle monacelle clarisse, consacrata nel 1668 dal vescovo Giuseppe Cavalieri (1664-1696), che nel 1671 consacrò anche la chiesa ricostruita dei Santi Pietro e Paolo e quella di S. Martino annessa al monastero delle benedettine cosiddette “bianche”: il cenobio infatti era stato fondato nel 1620 per l’incremento vocazionale registrato nel monastero di S. Leonardo, di più antica data, ove vivevano le benedettine “nere”; e ancora si registra la fondazione di Santa Maria delle Grazie (oggi Sant’Antonio) con il convento annesso dei minori osservanti (XVI sec.), di Sant’Angelo, anch’essa ricostruita sull’antica chiesa, e del Purgatorio, ultimata nel 1716 e sorta dopo il crollo del campanile della cattedrale (1686). La ricostruzione in stile barocco dell’antica cattedrale romanica fu compiuta tra gli anni 1742-1770. Fondamentale nella storia della pastorale ecclesiastica è la fondazione del Seminario ad opera del vescovo Cavalieri il 4 novembre del 1666 e la ricostruzione rinascimentale dell’episcopio (1618) da parte del vescovo Giovanni Giacomo Macedonio (1608-1625).
Da rilevare la testimonianza di un effervescente impulso artistico: la produzione scultorea trovò espressione nelle botteghe presenti in Monopoli di Nuzzo Barba, Lodovico Fiorentino e Stefano da Putignano; al celebre pittore veneziano Giovanni Bellini, detto Giambellino, venne commissionata una tavola di S. Pietro martire (1490) per il convento dei domenicani; Paolo Campsa e Giovanni Melines intagliarono per la chiesa dell’abbazia di Santo Stefano un trittico ligneo con la Vergine tra i santi Stefano e Nicola (1502). A Cisternino un anonimo pittore locale dipinse una tavola della Vergine di Hibernia (XVI sec) per l’omonimo santuario, mentre i canonici della chiesa matrice di San Nicola incaricarono la bottega di Stefano da Putignano per una scultura lapidea della Vergine del Cardellino (1517). Tra le produzioni amanuensi di notevole interesse storico-archivistico spiccano la Charta navigationis o Portulano (XVI sec), unico esemplare nel Meridione di mappa per i viaggi marittimi, e le miniature di Reginaldo de Pirano di Monopoli (XVI sec) che decorò la coperta dello statuto della confraternita del SS. Sacramento.
La diocesi di Conversano dagli sviluppi alla fine delle controversie giurisdizionali
La sede vescovile di Conversano figura per la prima volta attestata nel luglio 1081 da una pergamena del celebre monastero di San Benedetto che, conservando premurosamente le proprie carte per difendere la sua nullius, salvava anche tutto quel patrimonio documentario della Chiesa e dell’Università andato distrutto nel sacco della città ad opera degli spagnoli nel 1503; appunto in essa rinveniamo la firma autografa del primo vescovo: Leone. Questi in qualità di teste sottoscrive una concessione in favore del monastero succitato fatta dal normanno Goffredo d’Altavilla, conte di Conversano e di un territorio la cui dominazione si estendeva anche alle città di Brindisi e Lecce; a mano a mano poi che le munifiche concessioni del conte, sempre per lo stesso monastero, si susseguono nel giugno 1087, anno in cui dona l’intera Terra di Castellana, e poi nel luglio 1089 e settembre 1095, la presenza del presule quale teste documenta l’autorevolezza dell’intera Chiesa locale nel processo d’irreversibile latinizzazione di cui si erano resi coprotagonisti i normanni. Un ulteriore e significativo riscontro emerge ancora dall’elargizione comitale del luglio 1098, in cui Leone si sottoscrive dopo l’arcivescovo di Brindisi Godino.
Una sede vescovile già presente nel 1025 a Conversano apparirebbe in una bolla diretta da papa Giovanni XIX a Bisanzio, arcivescovo di Bari e Canosa: il documento in verità non è affidale perché ritenuto apocrifo. Tuttavia la storia documentaria della Chiesa conversanese non s’identifica con il suo vissuto storico: mancano certo i nomi dei presuli, ma non quelli dei monaci dei monasteri di S. Leucio (915) e di S. Benedetto, dei presbiteri soprattutto uxorati, secondo la prassi bizantina, e già nell’aprile del 915 quello dell’archipresbiter Armiperto che segnala un capitolo intorno al vescovo.
Dopo la crisi del 1054 tra le Chiese di Roma e di Costantinopoli e l’espugnazione di Bari il 15 aprile 1071 ad opera dei normanni, che segna la fine della dominazione bizantina nell’Italia meridionale, si rendeva necessaria la sua latinizzazione con la diretta dipendenza da Roma e il culto e la disciplina latini. Perciò si intese “riscrivere” la storia precedente con il conio di documenti apocrifi: nasce così nell’intero territorio pugliese la tradizione petrina, ossia lo sbarco sulle sue coste dell’apostolo Pietro – e a contendersi l’approdo sono Leuca, Gallipoli, Otranto, Brindisi e Taranto – e della sua personale evangelizzazione della popolazione; in tal modo si saldava la diretta dipendenza da Roma. A Conversano all’evangelizzazione petrina si aggiunse poi la leggenda dell’icona bizantina della Vergine della Fonte (XIII sec.), approdata sulle coste antistanti la città nel 489 e accolta dal vescovo Simplicio, apocrifo come gli altri due vescovi Gerico e Simparide del sec. VIII, menzionati da narrazioni altrettanto apocrife.
Il vescovo Leone e il conte normanno Goffredo costituiscono il fulcro della storia di Conversano, identificata nell’antica Norba della Tabula Peutingeriana, e rappresentano un sincrono connubio di potere religioso e civile, da cui tuttavia si dispiegano quelle conflittualità giurisdizionali che si cristallizzeranno per secoli.
Proprio da Leone scaturisce quella che riguarda la Terra di Putignano. Come si è già detto, il munifico Goffredo tra il 1085-1088 aveva fondato a qualche km da Monopoli il monastero benedettino di Santo Stefano, dotandolo di concessioni e donazioni tra cui le Terre di Fasano e Putignano. E di quest’ultima il vescovo non esitò a cedere al monastero, per denaro secondo gli storici, la sua giurisdizione spirituale.
Per quella generale politica normanna di stretta intesa con il papato, Goffredo anche a Conversano dovette essere certamente il promotore e il finanziatore della cattedrale romanica costruita tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, ma soprattutto largheggiò in concessioni, privilegi e donazioni verso il monastero cittadino di S. Benedetto, fondato intorno alla metà del sec. X, concedendogli nel giugno 1087, come già detto, l’intera Terra di Castellana su cui l’abate estese la sua giurisdizione spirituale, confermata nel 1110 da Pasquale II e dai successivi papi anche alle badesse, subentrate ai monaci nel 1266.
Di qui due secolari controversie giurisdizionali tra il potere vescovile e quello benedettino, che si protrarranno la prima fino al 1743 e la seconda fino al 1810; ad esse poco dopo se ne aggiungeva una terza riguardante la città di Rutigliano: infatti nel 1108 il vescovo Sassone, dietro richiesta del normanno Ugone, castelli Rutiliani dominator, avrebbe concesso agli arcipreti del luogo l’esenzione dalla sua giurisdizione, stando a un documento inserto in una presunta bolla di papa Sisto IV del 27 aprile 1473, andata perduta, ma presumibilmente apocrifa.
Nel corso del XII sec. cominciarono le rivendicazioni da parte dei vescovi conversanesi. Riguardo alla giurisdizione di Putignano, il vescovo Leone II nel 1152, nonostante la conferma concessa al monastero di Santo Stefano dai papi Pasquale II e Callisto II, la revocava di fatto con il conferire il beneficio di una chiesa a due preti putignanesi e l’anno successivo facendosi prestare giuramento di fedeltà dal clero locale; e ancora nell’aprile 1158 l’abate di Santo Stefano, Palmerio, era costretto sotto forte penale a rinunciare alla giurisdizione, che tuttavia il 1° agosto 1168 e il 16 dicembre 1275 lo stesso Palmerio riotteneva da Alessandro III. Ma già l’anno seguente essa veniva riassegnata all’episcopato conversanese: il 12 agosto 1276, il 1° luglio 1277 e l’11 agosto 1278 dallo stesso Alessandro III, il 1° maggio 1289 da Clemente III al vescovo Guglielmo, e il 5 giugno 1295 e il 14 marzo 1296 da Celestino III.
Quanto a Rutigliano, nel 1179 il vescovo Cafisio, padre conciliare del Lateranense III, otteneva da Alessandro III un altro significativo riconoscimento giurisdizionale: il papa infatti ingiungeva all’arcivescovo di Bari Rainaldo di restituire al vescovo conversanese la giurisdizione su Rutigliano, ch’era stata sottoposta a Bari.
In realtà i due primi conflitti non erano stati per niente chiusi; infatti quando nel 1317 ai monaci di Santo Stefano subentrò l’Ordine Ospedaliero dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, i balì ripresero a esercitare la giurisdizione su Putignano e la continuarono nonostante una sentenza del vescovo Cesare Lambertini favorevole al vescovo Donato Acquaviva d’Aragona (1499-1529) e le “Lettere esecutoriali” in favore del vescovo Giacomo Antonio Carrozza (1534-60) rilasciate dalla Sacra Rota Romana nel 1550.
E anche per Rutigliano gli arcipreti mitrati proseguirono nell’esercizio della loro giurisdizione nullius. Per secoli dunque i vescovi conversanesi portarono avanti la rivendicazione giurisdizionale, tuttavia il loro territorio rimase limitato alle città di Conversano, Noci e Turi.
Riguardo a Castellana, sottoposta alla nullius del monastero di S. Benedetto, quando nel 1266 subentrarono le monache cistercensi sotto la guida della badessa Dameta Paleologo, il vescovo benedettino Stefano (1264-74) tentò di conferire il diaconato a un chierico di Castellana, ma il ricorso della nuova badessa Isabella al re Carlo d’Angiò, che affidò la questione all’arcivescovo di Taranto Enrico Cerasoli, si risolse in favore di Isabella.
Pur in tali conflittualità, l’azione pastorale dei presuli successivi procedette in modo lineare e costante, ma esplose nel groviglio dello scisma d’Occidente. Pietro d’Itri, che il 13 febbraio 1356 aveva ricevuto la provvisione da Innocenzo VI e tre anni dopo iniziava i lavori di ampliamento della cattedrale romanica terminati nel 1373, venne risucchiato nel vortice scismatico: piegatosi all’obbedienza francese di Clemente VII, ritrovò come antagonista nella stessa sede il vescovo Amico, di obbedienza romana, come si evince da una lettera inviata l’8 aprile 1383 ad Amico da Urbano VI. Alla morte di Pietro nel 1390, subentra Guglielmo che, in crisi di coscienza, resta oltre due anni e mezzo senza farsi consacrare e assumere il governo episcopale, finché Clemente VII il 12 luglio 1393 non lo sostituisce trasferendovi il vescovo di Polignano fra Angelo; nel frattempo con obbedienza romana figurano Giacomo, che nel 1399 venne trasferito a Guardialfiera (Campobasso), e poi Francesco, già abate di un monastero benedettino di Salerno, che tuttavia fu sciolto dal suo legame episcopale e ritornò al monastero d’origine; gli succedette nel 1403 Stefano Alfano con provvisione romana di Bonifacio IX. Quando nel 1409 alle due obbedienze si aggiunge quella pisana con l’elezione di Alessandro V e, un anno dopo, di Giovanni XXIII, l’Alfano aderisce all’obbedienza pisana, ricevendo proprio da quest’ultimo papa l’incarico di collettore papale nelle diocesi pugliesi. Con la pacificazione ristabilita durante il concilio di Costanza e l’elezione di Martino V l’11 novembre 1417, anche Conversano ritrova l’unicità episcopale nel legittimato Alfano.
Alle antiche presenze monastiche che fioriscono nel territorio lungo il Medioevo, come il monastero florense di S. Tommaso a Rutigliano (1231) oltre ai già citati di San Leucio e di San Benedetto in Conversano, va ad aggiungersi quella dei frati francescani: dei minori conventuali nel convento urbano di San Francesco (1289) e dei minori osservanti in Santa Maria dell’Isola (1462) a Conversano.
Lo stile romanico unifica l’architettura delle maggiori chiese diocesane : trova l’espressione più eccelsa nella cattedrale di Conversano (XI-XII sec), nel campanile normanno e nell’impianto originario della vicina chiesa nullius di S. Benedetto (XI-XII sec); a Rutigliano di notevole interesse sono il tempio di Sant’Apollinare (X sec.) e la chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (XI-XIII sec), a Castellana quelle di S. Leone Magno (XII sec) e di S. Bartolomeo di Padula (XI sec.), a Putignano quella di S. Pietro Apostolo (XI-XII sec), a Noci la chiesa di Santa Maria della Natività (XII-XIII) e a Turi quella dell’Assunta (XIII sec).
Progressivamente queste chiese s’impreziosiscono di un pregevole corredo artistico, in parte perduto: nella cattedrale restano ancora gli affreschi trecenteschi nell’abside minore sinistra, la tavola del Cristo Risorto (XV sec) e il Polittico di Bartolomeo Vivarini (1475) ora nella Galleria dell’Accademia a Venezia; Rutigliano conserva una icona di Santa Maria delle Grazie (XIV sec.) e un Polittico di Antonio Vivarini (1450), che testimonia l’influenza artistica veneziana nel nostro territorio. Una peculiare attestazione del persistente influsso greco nel territorio di Conversano è data dal tempietto quadrilobato di S. Caterina d’Alessandria (XV sec.).
Tra il ’400 e il ’500 la Chiesa di Conversano consolidò e, per così dire, istituzionalizzò il rapporto con la nuova contea degli Acquaviva d’Aragona inaugurata con Giulio Antonio nel 1456 mediante il matrimonio con Isabella Orsini del Balzo, figlia del principe di Taranto. Il conte nel 1462 su un primitivo impianto medievale costruì per i francescani osservanti, come già detto, la chiesa e il convento extraurbano di Santa Maria dell’Isola, ove nel cenotafio rinascimentale da lui eretto si farà raffigurare in saio con Isabella, dopo la sua morte avvenuta il 1481 nella battaglia contro i turchi che occupavano Otranto. E allo stesso conte si deve l’ampliamento della chiesa madre di Noci.
La nuova cultura umanistico-rinascimentale trovò il suo illustre rappresentante nel letterato Andrea Matteo, figlio e successore di Giulio Antonio, che influenza il fratello vescovo Donato (1498-1529): il presule avviò lavori di ampliamento e restauri nella cattedrale, diede forma istituzionale al capitolo di Noci e riprese la rivendicazione giurisdizionale su Putignano, proseguita poi da Giacomo Maria Carrozza (1534-60) che nel 1550 ottenne dalla Sacra Rota Romana le succitate “Lettere esecutoriali”, di fatto poi disattese dai balì.
La riforma tridentina venne promossa da Francesco Maria Sforza (1579-1605), subentrato a Romolo Valenti ch’era stato padre conciliare nel 1561-1563: egli ricostruì integralmente l’episcopio, ripristinò con ingenti capitali la produttività degli immobili fondiari, abbandonati alla desertificazione, affrontò il problema dei benefici, erosi dall’inflazione, con una moderazione che la S. Congregazione approvò il 14 luglio 1596, e dette impulso nella città alle fondazioni del convento dei cappuccini (1580) e di nuove confraternite (SS. Rosario e Immacolata Concezione).
Nel Seicento la Chiesa visse in città la sua stagione più effervescente di attività: si registra un incremento di altre confraternite (S. Giuseppe, Vergine del Carmelo, Purgatorio), di nuovi Ordini religiosi maschili (paolotti e carmelitani) e femminili (SS. Cosma e Damiano che si aggiungeva alle clarisse del 1555), di nuove chiese barocche (S. Leonardo, S. Cosma, Passione, Carmine, S. Giuseppe) e di numerose cappelle all’interno della cattedrale, che assume sempre più uno stile barocco.
La bolla papale Inscrutabili Dei providentia del 5 febbraio 1622, emanata da Gregorio XV, sembrava aver finalmente posto fine a tutti i conflitti giurisdizionali, annullando le nullius di ogni genere, e quindi quelle relative a Putignano, Rutigliano e Castellana. Su quest’ultima si accinse ad estendere la sua giurisdizione il vescovo Vincenzo Martinelli (1625-1632), ma già nel 1630 la Sacra Congregazione del Concilio, sotto il martellante incalzare delle benedettine, disattendeva e contraddiceva di fatto la bolla gregoriana. Rimaste senza esito le rivendicazioni dei presuli successivi, comprese quelle di Pietro Paolo Bonsi (1642-56) che si dedicò maggiormente alla cura pastorale con ripetute sante visite, Giuseppe Palermo (1658-70), uno dei presuli di spicco del secolo, con perentoria volontà decise di richiamarsi alla Inscrutabili nell’ambito della sua intensa pastoralità, i cui segni più visibili furono le visite pastorali, il sinodo diocesano nel 1660, dato alle stampe a Roma l’anno successivo, le consacrazioni di alcune importanti e artistiche chiese cittadine e quella solenne della cattedrale il 29 agosto 1665. Nelle sue relazioni ad limina mosse la sua rivendicazione dapprima sulla Terra di Putignano contro i balì e poi su Castellana contro le benedettine. Tuttavia la sua azione vigorosa, che parve ottenere una breve vittoria con il breve di Alessandro VII del 12 giugno 1665, s’infranse dinanzi al potere badessale che vantava grande influenza a Roma, al punto che il presule nel 1670 fu trasferito nella minuscola arcidiocesi calabrese di Santa Severina, sostituito dal pacifico benedettino Giovanni Stefano Senàrega (1671-79). Il suo successore Andrea Brancaccio (1681-1701) tentò di riprendere la rivendicazione giurisdizionale, ma il suo governo fu segnato soprattutto dalla terribile peste del 1690-1692 che decimò crudelmente la popolazione cittadina, durante la quale si distinse l’eroismo assistenziale dei cappuccini.
L’alba del XVIII sec. annunciava una grande voglia di vitalità: la città registrava un incremento demografico con un forte ricambio generazionale di oltre il 40% di bambini in età di comunione, e un nuovo vescovo s’insediava nel governo della Chiesa, il milanese Filippo Meda (1701-33) che si lanciò in un’attività innovatrice di grande respiro. Innanzitutto, il 16 aprile 1703 fondava il Seminario, alloggiandolo temporaneamente in un’edilizia domestica; sul piano amministrativo poi deliberava una moderazione delle messe beneficiali, accorpando e riequilibrando oneri cultuali e redditi connessi; quale autore di diverse opere teologiche e spirituali, si consacrò ad animare personalmente la catechesi al popolo e al clero; intanto promuoveva il restauro interno della cattedrale con un sontuoso barocco, che verrà ulteriormente appesantito negli anni 1770 da Fabio Palumbo (1772-86), e infine riprendeva la rivendicazione giurisdizionale su Putignano e Castellana. Il volto della città risultava in breve cambiato. E i primi frutti rivendicativi giunsero dopo la sua morte con la decretale di Benedetto XIV, che il 14 marzo 1743 poneva fine alla nullius di Putignano, assegnandola definitivamente al vescovo di Conversano Giovanni Macario Valenti (1733-44).
A Conversano e nei paesi della diocesi si alternarono in epoca barocca celebri artisti: Paolo Finoglio, oltre alle splendide tele e agli affreschi nel castello del conte Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, dipinse nella chiesa di S. Cosma, dalla volta dorata, le pale d’altare di Sant’Urbano, di S. Antonio di Padova, di S. Domenico, di S. Gennaro e di Santa Rosalia, mentre soltanto di recente la pala dell’altare maggiore raffigurante i SS. Cosma e Damiano è stata attribuita ad Alessandro Turchi detto l’Orbetto (inizio del XVII sec.); al Finoglio si devono ancora le tele dell’Annunciazione in S. Maria dell’Isola, della Vergine con Bambino e i santi Sebastiano, Rocco e Biagio nella chiesa di S. Rocco, e dei Santi Benedetto e Sabino sull’altare maggiore della chiesa di S. Benedetto, ove operarono anche Michele Damasceno (1574), Damato il Vecchio, Nicola Gliri e Carlo Rosa (XVII sec.). Tra il Sei-Settecento altri pittori noti, tra cui Luca Giordano, Domenico Carella, Andrea Miglionico, Vincenzo Fato, e meno noti di scuola napoletana contribuirono con la loro arte ad arricchire i numerosi altari delle chiese e dei conventi presenti nelle altre città della diocesi.
La diocesi di Polignano dalle origini alla soppressione del 1818
Abbarbicata sulle alte costiere dell’Adriatico a sud di Bari, Polignano avvalora chiaramente la sua sede vescovile in epoca normanna. É ormai ritenuto apocrifo il documento che attesterebbe già nel 1025 la fondazione della cattedra episcopale, come si evincerebbe dalla succitata bolla di Giovanni XIX in cui il papa concede a Bisanzio, arcivescovo di Bari e Canosa l’arcivescovato e la facoltà di ordinare i vescovi suffraganei.
La testimonianza certa invece della sua sede vescovile e della sua suffraganeità è comprovata da due contrastanti documenti del 1089: nel primo, datato Bari 5 ottobre, papa Urbano II conferma all’arcivescovo di Bari Elia l’arcivescovato con le diocesi suffraganee, tra cui Polignano e Conversano; nel secondo, ugualmente dell’ottobre ma senza precisazione del giorno, lo stesso Urbano nel confermare all’arcivescovo di Trani, Bisanzio, l’arcivescovato, cita tra le diocesi sottoposte alla sua giurisdizione Polignano e l’abbazia di S. Vito; esso in realtà replicava quanto concesso da Alessandro II allo stesso Bisanzio il 15 maggio 1063, che ne definiva gli stessi ambiti giurisdizionali. Tale contrasto documentario sarà poi definito da papa Eugenio III con la suffraganeità di Polignano a Bari.
San Vito era il monastero benedettino maschile extraurbano sorto nel territorio della diocesi su una delle mutationes romane della via Traiana: ne ignoriamo la data di fondazione che referenze del tutto leggendarie collocano addirittura nel sec. VII, per l’arrivo delle reliquie del santo il lunedì in albis del 26 aprile 677 (anno peraltro in cui la pasqua ricorreva il 29 marzo). La presenza monastica è documentata durante l’episcopato polignanese di Maione in un diploma del 15 giugno 1170, in cui Guglielmo II, re di Sicilia, conferma all’abate Luca le concessioni e i privilegi dati da Ruggero II. Il monastero fu annesso ai Santi Apostoli di Roma nel XVI sec., per passare poi ancora sul finire del XVIII sec. al marchesato dei la Greca.
Il monastero benedettino maschile urbano di S. Benedetto (o di S. Pietro), è documentato già nel 992 sotto il governo abbaziale di Pietro. Nel 1109 subentrarono le monache cistercensi rette dalla badessa Agnese. Ricostruito nel 1574 e legato al monastero benedettino conversanese, il monastero fu soppresso nel 1866, anche se le monache vi rimasero fino al 1902, e sciaguratamente demolito nel 1932.
A differenza di quanto avvenuto nelle limitrofe diocesi di Conversano e Monopoli, non vi furono interferenze e collisioni giurisdizionali tra i monasteri benedettini e la sede vescovile polignanese che, come già detto, vide risolto il problema della suffraganeità con l’assegnazione definitiva a Bari mediante bolla di papa Eugenio III indirizzata il 18 marzo 1152 all’arcivescovo barese Giovanni.
La piccola periferica diocesi, tutta raccolta intorno alla cattedrale romanica del XII-XIII sec. dedicata all’Assunta, rimaneva comunque sempre sensibile ai problemi della Chiesa universale; infatti il suo presule Arpino insieme con i vescovi Cafisio di Conversano e Stefano di Monopoli partecipò al concilio Lateranense III del 1179.
L’episcopato polignanese doveva essere indubbiamente tenuto in considerazione da Roma, che infatti affidò ai presuli la composizione di alcuni conflitti sorti nelle viciniori comunità ecclesiastiche. Nel 1189 Clemente III dette incarico all’arcivescovo di Bari Dauferio e al vescovo di Polignano Arpino di immettere nel possesso giurisdizionale su Putignano il vescovo Guglielmo di Conversano; nel 1194 fu il nuovo papa Celestino III a scrivere allo stesso Arpino e al vescovo di Monopoli Pagano per il problema precedente ancora irrisolto, e poi, il 2 giugno, a incaricare ancora Arpino e il vescovo conversanese Guglielmo di concedere ai monaci di S. Benedetto di Conversano la facoltà di eleggere il loro abate. Nello stesso anno ad Arpino subentra Processo: a quest’ultimo e all’arcivescovo di Trani Samaro papa Celestino il 13 agosto del 1194 conferisce l’incarico di dirimere la vertenza sulle decime tra il vescovo di Gallipoli e il monastero di Santa Maria di Nardò; e infine, il 5 giugno del 1195, ancora a Processo e Samaro dà mandato di sottoporre Putignano alla giurisdizione del vescovo Guglielmo, e il 14 marzo del 1196 sempre a Processo e all’arcivescovo barese Dauferio ordina di procedere contro l’abate di S. Stefano di Monopoli per aver ordinato l’arciprete di Putignano.
Nel 1266 poi fu il vescovo polignanese Bartolomeo a essere incaricato di provvedere alla transizione dalla comunità maschile a quella femminile nel monastero di San Benedetto di Conversano, e a immettere nel badessato la già citata Dameta Paleologo.
Un secolo dopo, anche qui si abbatterono gli effetti laceranti dello scisma d’Occidente (1378-1417), ove s’intersecano e si sovrappongono le due obbedienze. Pavone (o Paolo) de Grifis, nominato da Gregorio IX nel 1375, resta nell’obbedienza romana, perché nel 1390 viene trasferito a Tropea da Bonifacio IX, che lo sostituisce dapprima con Lupolo del Lago, un anno dopo con Angelo Afflitti, al quale nel 1401 affida la Chiesa di Anagni, e quindi con Cristoforo, già vescovo di Scutari.
Intanto negli stessi anni si contrappone l’obbedienza avignonese: nel 1379 è vescovo Pasquale, nominato da Clemente VII, e alla sua morte nel 1382 subentra il francescano Angelo da Conversano, che lo stesso papa trasferisce nel 1393 a Conversano; l’anno successivo Benedetto XIII insedia a Polignano Angelo, canonico di Bitonto, che nel 1398 impetra dallo stesso papa di conservare per 10 anni dal suo possesso i relativi benefici episcopali. Nel 1411 la sede viene retta da Nicola, di obbedienza romana, come risulta dalle Obligationes a Gregorio XII; di lui si perdono le tracce documentarie, e nel 1420, a scisma concluso, ritroviamo insediato il bitontino Paolo Affaitati, nominato da papa Martino V.
Pregevole è stata la produzione artistica della chiesa cattedrale, ove furono realizzate diverse opere: sull’altare del Santissimo Sacramento troneggia un crocifisso con supporto ligneo a forma di Y (üpsilon), unico nella Puglia per la sua particolare fattura di origine dalmato-marchigiana; Bartolomeo Vivarini dipinse nel 1460 le tavole di un Polittico sull’altare maggiore; di notevole interesse artistico la tavola di una Vergine, prima facente parte di un Trittico, attribuita al Giambono (XV sec.) e detta di sopra la porta perché era ubicata nella chiesetta marchesale di S. Giuseppe sopra la porta principale del paese (ora collocata nella sacrestia della cattedrale); sul piano scrittorio un celebre miniatore di Altamura, Anglico, decora per il capitolo un Breviario e un Antifonale corale sotto l’episcopato di Raone Castromediano (1424-1460) di cui viene raffigurata l’arme.
A Polignano dopo il biennio episcopale di Michele Claudi, già governatore di Roma, che Giulio II nel 1508 destinò a Monopoli sottoposta alla dominazione veneta, Cristoforo Magnanini o Magnacurio (1508-17) il 31 luglio del 1513 consacrava la cattedrale, che in quegli anni si era arricchita della cappella del Presepe con le celebri sculture lapidee di Stefano da Putignano, e successivamente sottoscriveva la sua partecipazione al concilio Lateranense V (1515-1516, marzo 1517).
La ricostruzione del monastero urbano di San Benedetto nel 1574 dovette costituire anche un indubbio input per ampliamenti e nuovi inserimenti stilistici nella cattedrale. Cominciò Raffaele Tomei (1580-1598) con interventi innovativi nella navata centrale, documentati da un’epigrafe del 1580, senza peraltro disattendere alla nuova pastoralità che traeva linfa dal concilio tridentino e indicendo nel 1590 il primo sinodo diocesano polignanese. I lavori furono proseguiti da Giovanni Battista Guanzato (1598-1607), ma soprattutto dal domenicano Giovanni Maria Guanzelli (1607-1619) con l’esecuzione del coro ligneo nel 1611 e la costruzione sopraelevata all’altare maggiore del “cappellone di S. Vito”, il santo protettore della città, nel 1613; nello stesso tempo diede impulso al rinnovamento della sua Chiesa con correttivi nel servizio corale, con una più qualificata istruzione per i candidati al sacerdozio, con una capillare catechesi al popolo che si teneva nelle chiese di Santo Stefano, di San Benedetto e di San Martino, da lui fatte restaurare, e durante la quaresima ripartendola in 5 quartieri della città, e infine con una pastorale caritativa in favore dei poveri, ammalati e carcerati.
È soprattutto questa pastorale caritativa, oltre ai lavori architettonici della cattedrale, a segnare più marcatamente gli episcopati del secolo XVII. Il francescano Vincenzo Pineri (1642-72) volle concretizzarla con l’assumere un medico a cui assicurava personalmente vitto, alloggio e stipendio annuale, perché curasse gli ammalati poveri della città; ma nello stesso tempo provvide a elevare il campanile della cattedrale, a restaurare la cappella del Crocifisso, ad ampliare l’episcopio e ad accrescere le rendite finanziarie riqualificando i beni immobili della mensa vescovile.
Altrettanto sensibili furono i successori: Scipione de Martinis (1672-81), che indisse anche il sinodo diocesano di cui si conserva tuttora il manoscritto; il domenicano Ignazio Maria Fiume (1681-94), autore di un’opera apologetico-teologica in 4 volumi, che oltre a prodigarsi per il popolo soprattutto durante la peste del 1690-92 fu anche sollecito di aiuti economici a protestanti ed ebrei convertiti; Giovanni Battista Capilupi (1694-1718), il quale ebbe una particolare attenzione assistenziale verso le fanciulle povere, rinnovò il tetto della cattedrale e ne abbellì le cappelle, rifece l’episcopio e bonificò i beni fondiari vescovili.
Nel XVIII sec. prosegue la privilegiata pastorale in favore dei poveri. Antonio Pini (1718-36) già nel suo primo anno di governo riuscì a vestire a sue spese 184 indigenti, visitava ogni giorno gli ammalati e provvedeva loro con vitto e medicinali; teneva la catechesi al popolo due giorni alla settimana; abbellì internamente la cattedrale con tele e suppellettile lignea dorata e ne rifece il tetto; sotto il suo episcopato erano fiorenti le confraternite del Purgatorio in San Martino e altre tre nella cattedrale: del SS. Sacramento, del Rosario e di S. Vito.
Andrea Vinditti (1737-67), a cui l’arcivescovo di Bari diede l’appellativo di “apostolo delle Puglie” a motivo delle sue numerose missioni e consacrazioni di chiese nella regione, fece realizzare una nuova pavimentazione nella cattedrale e l’altare maggiore in marmi policromi. A Francesco Broccoli (1767-75), che alla sua morte lasciò ai poveri della città tutte le rendite spettantigli dalla mensa vescovile, subentrò infine Matteo Santoro (1775-97), il quale provvide alla realizzazione in marmi policromi del fonte battesimale e della balaustra, e all’erezione della cappella dell’Immacolata Concezione; per la sua passione archeologica fece eseguire con metodo alcuni scavi nei terreni vescovili, rinvenendo vasi di grandissimo pregio e valore che donò al re di Napoli, ricevendone in cambio un’alta onorificenza regia.
Alla sua morte, avvenuta il 27 novembre del 1797, la diocesi rimase vacante e con lui si chiude la storia della Chiesa di Polignano. Infatti con la bolla De utiliori del 27 giugno 1818 che seguiva il Concordato intercorso tra Pio VII e Ferdinando I re di Napoli, la diocesi veniva soppressa e unita a quella della vicina Monopoli.
Della produzione artistica in Polignano è da rilevare anzitutto una meno nota pala d’altare Madonna e Santi (1606) del Caravaggio (oggi purtroppo scomparsa), commissionata dal marchese Niccolò Radulovich per la chiesa dei minori osservanti che lui stessa aveva fatto costruire nel 1581 quale cappella gentilizia della nobile famiglia; nella stessa chiesa conventuale lavorarono illustri pittori come il Padovanino, Gaspar Hovic e Bernardino Prudenti. Nella cattedrale ragguardevole è il numero di opere artistiche: vi attesero Stefano da Putignano (fine XV – inizi XVI sec.) con la sua serie scultorea: il Presepe, la Concezione della Vergine, la Pietà e San Vito, Paolo de Matteis con il dipinto della Sacra Famiglia (1759) e diversi altri pittori d’influenza dalmata e napoletana, che adornarono le pale degli altari laterali. Nella vicina chiesa di S. Benedetto le monache, oltre alle statue cinquecentesche di S. Marco, S. Sebastiano e S. Rocco scolpite dal succitato Stefano da Putignano, commissionarono al pittore castellanese Vincenzo Fato la pala d’altare della Vergine tra i Santi Benedetto e Scolastica (ora dispersa); mentre nella chiesa del Purgatorio il Miglionico magnificò l’ancona dell’altare maggiore in una scena purgatoriale; infine nell’abbazia di San Vito troviamo attivo il pittore Fracanzano in alcuni dipinti dei Dodici Apostoli (XVII sec.).
La diocesi di Monopoli dall’Ottocento al Novecento
Nella diocesi di Monopoli con l’abolizione murattiana delle feudalità Fasano, dopo la breve amministrazione degli anni 1808-1811 da parte dell’arcivescovo di Taranto, ritornava sotto la giurisdizione episcopale monopolitana e il vescovo Lorenzo Villani (1805-1822) nel 1811 vi effettuava la visita pastorale, cui fece seguire nel 1815 il sinodo diocesano nella sede episcopale. Inoltre nel 1818 la sua giurisdizione si estese anche sulla soppressa diocesi di Polignano; in tal modo essa si distendeva dai lembi costieri e inerpicandosi da Fasano giungeva sulle colline interne di Cisternino.
Su questo più ampio e popoloso territorio poté dispiegarsi la pastoralità dei successivi presuli, tra cui vanno menzionati Francesco Pedicini (1855-58), trasferito alla sede di Bari, Antonio Dalena (1871-83), già arciprete di Rutigliano e docente nel Seminario di Conversano nonché autore di varie opere filosofico-teologiche, e Carlo Caputo (1883-86), che diede vitalità al Seminario, istituendovi anche un’accademia di poesia e musica con premi annuali, e restaurò l’episcopio, arredato poi dal suo successore Francesco d’Albore (1886-1902).
A Francesco Di Costanzo (1902-1913), promotore degli abbellimenti novecenteschi della cattedrale, subentrò Nicola Monterisi (1913-19). Amico di Romolo Murri e Luigi Sturzo, riorganizzò la pastorale delle anime con l’istituzione di nuove parrocchie rispetto alle 5 originarie e s’impegnò a rimuovere quei superficiali devozionismi che non si radicavano nella fede autentica. Celebre è la sua lettera pastorale del 1918, che venne largamente diffusa e tradotta anche in francese. Trasferito a Chieti e poi a Salerno, la sua dinamica pastoralità fu continuata dai successori, tra cui Antonio Melomo (1927-1940) che nel 1928 cominciò a pubblicare il Bollettino ecclesiastico diocesano, e nel 1934 provvide ad accogliere i salesiani in Cisternino e ad istituirvi l’Oratorio del Sacro Cuore; Gustavo Bianchi (1941-51), che condivise con il suo gregge la tragedia della II guerra mondiale; e infine Carlo Ferrari (1952-1967) padre conciliare del Vaticano II, che diede nuovo impulso pastorale alla diocesi e fu poi trasferito a Mantova.
La diocesi di Conversano dall’Ottocento al Novecento
Nell’epoca contemporanea erano rimasti ancora pendenti i conflitti giurisdizionali della Chiesa di Conversano su Castellana e Rutigliano e vi provvide il governo napoleonico a chiuderli autoritativamente. Abolita il 2 agosto 1806 ogni forma di feudalesimo, con Giangirolamo IV terminava la contea degli Acquaviva d’Aragona, e il 2 maggio 1810 e il 20 giugno 1811 Gioacchino Murat poneva fine rispettivamente alla nullius badessale e a quella degli arcipreti mitrati rutiglianesi.
La diocesi veniva così a essere composta dalle città di Conversano, Castellana, Putignano, Noci, Alberobello (regio comune dal 7 maggio 1797), Turi e Rutigliano. Intanto con decreto del 7 agosto 1809 lo stesso Murat aveva soppresso tutti gli Ordini religiosi con i loro beni, e quindi a Conversano i francescani conventuali e osservanti, i paolotti e i carmelitani. Qui intervenne tempestivamente il vescovo Gennaro Carelli (1797-1818), che appena due mesi dopo ne chiedeva l’apertura delle chiese, nonché l’uso del convento dei paolotti per il Seminario, la cui sede lungo tutto il ’700 risultava sempre più angusta per il crescente numero dei chierici. E martellò con tenacia il governo napoleonico con un fitto epistolario, finché il 25 aprile del 1813 non gli giunse la sospirata concessione che, pur revocata con la caduta napoleonica, fu tuttavia ribadita il 6 novembre 1816 dal re Ferdinando I.
Il vescovo procedette subito agli indispensabili lavori di restauro e ampliamento, che furono proseguiti da Giovanni de Simone (1826-1847) e soprattutto da Giuseppe Maria Mucedola (1848-1865), la figura più eminente del secolo. Sotto di lui il Collegio-Seminario divenne nella regione uno tra i più importanti centri di cultura e di formazione, che diremmo oggi integrale, aggiornandone i metodi scolastici con l’adeguamento alla legge Casati del 1859 e immettendovi i più validi docenti, tra cui l’insigne Domenico Morea. La sua ampia e incisiva pastoralità nella diocesi, documentata dalle visite pastorali, lo portò per scelta evangelica ad avversare il governo oppressivo borbonico e a favorire un cattolicesimo liberale e risorgimentale. Tale clima fu guardato con sospetto e diffidenza da Roma, al punto che la diocesi alla morte del vescovo rimase vacante per 7 anni, fin quando fu nominato il liguorino Salvatore Silvestris (1872-1879), cui si devono il sinodo diocesano, pubblicato nel dicembre 1874, e interventi di restauro nella cattedrale.
Al governo biennale di Augusto Vicentini, promosso arcivescovo di L’Aquila, subentrò Casimiro Génnari (1881-1897) che proseguì i restauri nella cattedrale, trasferì il Seminario nell’episcopio, scindendolo dal Collegio, e intervenne per la pacificazione della città nei tumulti del 20 maggio 1886. Nel 1876 aveva fondato a Maratea, sua città natale, Il Monitore ecclesiastico, che fu poi pubblicato a Conversano fino al suo trasferimento a Roma. Nel 1901 Génnari fu insignito della porpora cardinalizia. Durante il suo episcopato si compì in città il miracolo della guarigione immediata di un povero sarto morente per intercessione della beata Rita da Cascia; il presule ne istruì il processo canonico diocesano e la beata fu canonizzata nel 1900 da Leone XIII, con grandi festeggiamenti a Conversano promossi dal successore Antonio Lamberti (1897-1917). Il suo fervido e operoso episcopato, che favorì nella diocesi la venuta di alcuni Ordini religiosi con fini cultuali e pastorali come le suore crocifisse adoratici dell’Eucaristia in Rutigliano, Conversano e Putignano, fu segnato da due dolorosissime calamità: l’incendio distruttivo della cattedrale l’11 luglio 1911 e quello mondiale della Grande guerra. L’immediata ricostruzione del tempio romanico fu completata nel 1926 dal successore Domenico Lancellotti (1918-31).
Durante il breve episcopato di Domenico Argnani (1931-1935), fu inaugurata il 5 agosto del 1932 nel territorio extraurbano di Noci l’abbazia della Madonna della Scala grazie all’interesse dell’abate Emanuele Caronti, celebre figura del pionieristico Movimento Liturgico Italiano, che dall’abbazia di Parma vi insediò il primo drappello di monaci della Congregazione sublacense e il suo primo abate Giovanni Ceci. Con gli anni il monastero è divenuto sempre più un vero faro di spiritualità non solo per la diocesi, ma per tutto il Meridione; la presenza di una ricca biblioteca, di un laboratorio di restauro, di una schola cantorum, di una editrice e di una rivista di spiritualità e liturgia la rendono protagonista tra le abbazie del nostro tempo.
Durante la II guerra mondiale il vescovo Gregorio Falconieri (1935-64), pur nelle dolorose ripercussioni territoriali del funesto evento, attese alla riorganizzazione della diocesi con la fondazione di 11 parrocchie; di stampo rigidamente tradizionalista, nel periodo postbellico si adoperò autorevolmente in favore del partito democristiano, paventando i pericoli del comunismo ateo. Le sue precarie condizioni di salute non gli permisero la partecipazione al concilio Vaticano II, se non nella fase iniziale.
L’ultimo tratto storico e l’unificazione delle due diocesi
Alla fine degli anni Sessanta del Novecento, a Monopoli la sede episcopale vacante da un biennio, il calo del numero dei sacerdoti, la chiusura del Seminario e l’esiguo numero dei paesi sembravano preludere a uno scorporamento della diocesi, peraltro annunciato, per aggregare Monopoli e Polignano alla diocesi di Bari, e Fasano e Cisternino alla diocesi di Brindisi; ma tutto ciò venne scongiurato con la nomina del vescovo Antonio D’Erchia, già prelato nullius di Altamura e Acquaviva delle Fonti e amministratore apostolico di Conversano dal 1964; nella sua persona fu unita nel 1969 e nel 1970 la titolarità delle distinte sedi di Monopoli e di Conversano.
Il suo episcopato fu segnato nel primo anno a Conversano da una violenta contestazione popolare verso di lui per la rimozione del parroco del Carmine, portatore di una visione innovativa e conciliare che si scontrava con quella conservatrice del clero cittadino. L’episodio ebbe risonanza nazionale nei giornali, che parlarono di un nuovo Isolotto.
L’opera pastorale del vescovo fu comunque mirata a favorire i dettami pastorali del Concilio Vaticano II, a cui egli stesso aveva partecipato, con l’istituzione di nuove parrocchie nelle periferie di diversi paesi delle due diocesi, con l’organizzazione dei Convegni pastorali interdiocesani, e con le diverse Lettere e Visite pastorali.
Non è stato da meno l’impegno di molti zelanti sacerdoti locali nel favorire l’inserimento di diverse comunità religiose nel territorio diocesano: il 27 marzo 1965 a Castellana furono chiamate le benedettine celestine nel monastero Maria Immacolata Madre della Chiesa; a Conversano nel 1964 i vocazionisti, assumendo la cura pastorale della parrocchia di S. Andrea e dell’annessoVillaggio del Fanciullo, e nel 1976 i chierici regolari di S. Paolo (barnabiti) insediandosi nella istituenda Parrocchia Maris Stella; nello stesso anno a Fasano i figli della carità (canossiani) cominciarono a dedicare la loro azione educativa verso i giovani nell’oratorio Maria SS. Immacolata; a Putignano nel 1968 venne affidata una nuova parrocchia ai missionari della Congregazione del Preziosissimo Sangue; a Noci nel 1973 furono insediate le apostole del Sacro Cuore di Gesù nell’Ospedale Civile e infine a Rutigliano nel 1982 le suore Oblate Benedettine di Santa Scolastica nell’Istituto Suglia Passeri a Rutigliano.
Il 30 settembre 1986 la nuova mappa delle diocesi italiane disegnava l’attuale unificazione della Chiesa Conversano-Monopoli sotto la guida di Domenico Padovano (11 febbraio 1987): a lui è toccato il compito di rendere “una e nuova” la Chiesa generata dalle due realtà territoriali contigue, ma con una storia millenaria differente.
Angelo Fanelli e Vito Castiglione Minischetti
Bibliografia su Conversano
Ughelli2 VII, 700-720; Hierarchia I, 218; II, 135; III, 177; IV, 163; V, 171; VI, 181; VII, 162; VIII, 224; IX, 140; Kehr IX, 358-368; P.A. Tarsia, Historiarum Cupersanensium libri tres, Mantuae Carpethanorum <Madrid> 1649; G.A. Tarsia Morisco, Memorie storiche della città di Conversano, Conversano 1881; G. Bolognini, Storia di Conversano dai tempi più remoti al 1865, Bari 1935; D. Morea, Il Chartularium del monastero di S. Benedetto di Conversano, Montecassino 1892; G. Coniglio, Le pergamene di Conversano. I (901-1265) (Codice Diplomatico Pugliese XX), Bari 1975; D. Morea-F. Muciaccia, Le pergamene di Conversano. Seguito al ”Chartularium Cupersanense” del Morea (Codice Diplomatico Barese XVII), Trani 1943; S. Palese, I vescovi di Conversano prima e dopo il concilio di Trento: dalla signoria feudale verso il governo pastorale, in “Rivista di Scienze Religiose”, IX (1997) 2, pp. 395-408; A. Fanelli, Cronotassi episcopale della Chiesa di Conversano, Galatina 1987; Id., Architettura e decorazione romanica e barocca nella cattedrale di Conversano alla prima metà del Settecento, in Storia e cultura in Terra di bari. Studi e ricerche – III, Galatina 1991, pp. 97-116; Id., Per una storia del Seminario Vescovile di Conversano.Dal concilio di Trento alla fine del Seicento, S. l. 1995; Id., Conversano tra il 1588 e il 1604 nei manoscritti dell’Archivio Segreto Vaticano, Conversano 2003; Id., Cultura economia e religiosità a Conversano nel Seicento. Per una lettura storica e iconografica del monastero e della chiesa dei SS. Cosma e Damiano, Conversano 2004; Id., Feste e processioni a Conversano nel ’700. Agiografia illustrata, Conversano 2007; Archivio Diocesano di Conversano in rete (www.archiviodiocesano.info), ove sono consultabili tutti i documenti delle serie regestate.
Bibliografia su Monopoli
Ughelli2 I, 961-975; Hierarchia I, 346-7; II, 195; III, 248; IV, 246; V, 272-3; VI, 293-4; VII, 269; VIII, 391-2; IX, 257; Kehr IX, 373-382; F. Muciaccia, Il libro rosso della città di Monopoli, Bari 1906; S. Lillo, Monopoli. Sintesi storico geografica, Monopoli 1976; N. Lavermicocca, Gli insediamenti rupestri del territorio di Monopoli, Bari 1977; Monopoli nel suo passato (Quaderni di storia locale 1-6) Monopoli 1984-2000; A. d’Itollo, Note sull’origine della Commenda Gerosolimitana di Santo Stefano di Monopoli, in Monopoli nel suo passato cit., Monopoli 1986, pp. 45-63; Monopoli nell’età del Rinascimento, a cura di D. Cofano, Fasano 1988, voll. 3; G. Indelli, Istoria di Monopoli, a cura di M. Fanizzi, Fasano 1999.
Bibliografia su Polignano
Ughelli2 VII, 748-762; Hierarchia I, 405; II, 218; III, 277; IV, 284; V, 319; VI, 343; VII, 311; Kehr IX, 369-370; Collezione degli Atti emanati dopo la pubblicazioni del Concordato dell’anno 1818, Napoli 1830, vol. II, p. 22; I. Galluzzi, La Chiesa di Polignano tra XVI e XVII secolo, 1977 (Università di Bari, tesi di laurea) ; G. Pascali, Storia di Polignano, Padova 1980; F.F. Favale, Polignano la sua diocesi i suoi vescovi, Fasano 1992; V. Castiglione Minischetti, La produzione scrittoria dell’Archivio “Diocesano” di Polignano, 2006 (Università di Bari, tesi di laurea).