Conversano, 19 giugno 2020
“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi!” (Lc 22, 14).
Carissimi, permettete che faccia mie le parole pronunciate da Gesù prima della cena pasquale per esprimere i miei sentimenti per l’incontro eucaristico odierno, nella solennità del Sacro Cuore di Gesù, Giornata di santificazione sacerdotale. Sì, davvero in tutte queste settimane, soprattutto dalla Pasqua in poi, ho avvertito nel mio cuore il desiderio forte di ritrovarmi con tutto il presbiterio intorno all’altare del Signore per gustare la bellezza della fraternità, dell’essere uno in Cristo. Sentivo che era necessario raccogliersi insieme attorno al Signore Risorto, condividendo il banchetto dell’Eucarestia, per poter ripartire nel nostro ministero con la gioia nel cuore, dopo la pausa forzata a motivo della pandemia. Certamente anche in questi mesi abbiamo lavorato con dedizione e in forme inedite per far sentire la nostra vicinanza alla gente, che all’improvviso si è vista catapultata in una condizione irreale, mai prima immaginata. E qui vorrei dire a tutti, cari Confratelli, il mio grazie sincero per come vi siete spesi nel cercare di sostenere i nostri fedeli, per come avete saputo affrontare l’incognita di un futuro che in alcuni momenti sembrava gravido di forti preoccupazioni, per come avete saputo radicarvi nel ministero attraverso una rinnovata adesione al Signore Gesù, cercato, accolto, adorato, amato, soprattutto nei momenti di maggiore solitudine e amarezza interiore. La prova della nostra gente è stata la nostra prova più cogente, perché ci sentivamo impotenti dinanzi al disorientamento di tanti e alla paura di tutti. In alcuni momenti ci siamo sentiti davvero smarriti! Grazie a Dio abbiamo saputo reagire con fede e con intelligenza, mettendo a frutto le belle capacità e i talenti di cui ciascuno è stato dotato dalla Provvidenza.
Superato lo sgomento iniziale, nessuno, pur con le cautele necessarie in un contesto di rischi, ha avuto paura di mettersi in gioco per non venir meno al dovere di essere pastori tra il gregge. Credo che la sofferenza più grande per tutti sia stata il non poter condividere con il popolo la celebrazione dell’Eucarestia, soprattutto domenicale, insieme al non poter essere vicini con il calore umano e con la solidarietà fraterna a tutti coloro che erano toccati dalla sofferenza. Il disagio interiore che ognuno ha vissuto, lo abbiamo certamente trasformato in preghiera per il popolo a noi affidato. È stata esperienza comune, credo, l’aver avvertito che pur soli nelle nostre chiese e cappelle per la celebrazione eucaristica, nel nostro cuore era presente tutta la comunità. Come Mosè sul monte santo del Signore, anche noi abbiamo alzato le mani al cielo per impetrare misericordia per tutti, certi che l’Onnipotente si sarebbe mosso a compassione per l’umanità ferita. Grazie, cari fratelli, per il coraggio che avete manifestato, grazie perché non vi siete risparmiati nel donarvi, grazie per aver fatto fiorire gesti di autentico eroismo nelle nostre comunità, grazie per aver creduto alla forza prorompente della carità, inculcandola in quei fratelli e sorelle che hanno riscoperto la bellezza del mettersi al servizio degli altri. E attraverso voi, vorrei che il grazie giungesse a tutti i vostri collaboratori, che con voi si sono messi in gioco facendosi Buoni Samaritani dei tanti che, come il malcapitato della parabola evangelica, giacevano – e forse giacciono ancora – lungo le strade della vita, feriti interiormente dall’imprevista e dolorosa prova. Penso agli operatori caritas, ai catechisti, agli educatori dei gruppi ecclesiali, all’umile gente delle nostre parrocchie, che mettendo a frutto le proprie capacità hanno saputo con voi intraprendere percorsi nuovi di solidarietà per far sentire l’afflato materno della Chiesa nelle situazioni più disparate di sofferenza. Il Signore trasformi in benedizione tutti i sacrifici sostenuti in questi mesi!
Ora con prudente gradualità ci siamo rimessi in cammino. In tutti noi c’è il vivo desiderio di non sciupare quanto abbiamo vissuto, perché è stato sì un momento di prova, che si è rivelato però un’occasione unica per riscoprire valori che forse avevamo dimenticato, riassaporando la freschezza delle cose semplici, soprattutto nei lunghi periodi trascorsi tra le mura domestiche. Ricominciando, non si può semplicemente far tornare tutto come prima! Dobbiamo far tesoro dell’esperienza acquisita, e noi pastori abbiamo il compito di far cogliere la forza profetica del tempo trascorso. Inizia per noi una stagione forse ancora più impegnativa ed esigente nella pastorale, perché non basta più semplicemente replicare quello che abbiamo sempre fatto: sarebbe troppo riduttivo, con il rischio di riprendere la routine quotidiano in maniera meccanica e stancante. Occorre muovere da una lettura sapienziale di quanto accaduto, per cogliere quel che il Signore ha voluto dirci in questo tempo. Sì, il Signore ci ha parlato nella burrasca in cui all’improvviso ci siamo ritrovati, quando la nave sembrava andare alla deriva, e noi smarriti ed impauriti avvertivamo tutta la nostra fragilità e vulnerabilità. Pur non percepibile immediatamente la sua presenza – in alcuni momenti gli abbiamo detto: ma, Signore dove sei? Perché non ti fai sentire? Perché ci lasci soli? – lui non ci ha mai abbandonati, non si è mai allontanato da noi. Ci chiedeva solo di avvertire la sua presenza con uno sguardo di fede, ci chiedeva di percepire, come Elia, la “brezza leggera” della sua presenza, che accarezzava e incoraggiava, parlando al cuore.
Io credo che il primo grande messaggio che dobbiamo cogliere dalle vicende drammatiche che abbiamo alle spalle sia proprio questo: Dio è con noi, perché non può abbandonare l’opera delle sue mani. “Tu sei un popolo consacrato al Signore, tuo Dio: il Signore, tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo popolo particolare. […] Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti … perché vi ama” (Dt 7, 6-7): così abbiamo ascoltato nella prima lettura! Un Dio dal Cuore grande quindi, perché “l’amore del Signore è per sempre” (rit. al salmo responsoriale), e lui “ci circonda di bontà e misericordia” (Salmo 102). Carissimi Confratelli, prendiamo come impegno prioritario nel nostro ministero il promuovere una fede robusta tra i nostri fedeli, una fede che non va dietro l’emotività o che cerca il sensazionale per essere viva, una fede che non si ferma alle forme esteriori della devozione con la pretesa di “conquistare” Dio. Questa sarebbe una fede senza radici, che al primo affacciarsi della prova rischia di sgretolarsi e perdersi. Aiutiamo piuttosto a scorgere i segni di Dio nella storia, che è sempre storia di salvezza perché guidata dalla sua Provvidenza. Come Mosè fece con Israele, anche noi diciamo alla nostra gente parole di fiducia che invitano alla confidenza: “Riconosci dunque il Signore, tuo Dio: egli è Dio, il Dio fedele, che mantiene l’alleanza e la bontà per mille generazioni, con coloro che lo amano e osservano i suoi comandamenti” (Dt 7, 9).
Alla luce di questo, vorrei che ci convincessimo sempre più dell’importanza di una formazione seria alla vita cristiana, utilizzando tutti gli strumenti a nostra disposizione per portare i nostri fedeli ad una fede semplice e profonda. Formare coscienze mature, educate alla lettura dei segni dei tempi, che sanno discernere responsabilmente la volontà di Dio nella loro vita: questo è il fine del nostro lavoro pastorale. Dall’iniziazione cristiana – su cui da tempo andiamo riflettendo per individuare percorsi nuovi – alla formazione permanente, tutti – bambini, giovani, adulti – dobbiamo condurre ad una più profonda esperienza di Dio, nella cui luce è possibile comprendere la vocazione di ogni essere umano. Il compito che ci prefiggiamo è aiutare a scoprire che “Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”, come abbiamo ascoltato dall’Apostolo Giovanni.
Affascinati dalla bellezza di un Dio “che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio, come vittima di espiazione per i nostri peccati”, riscopriamo allora le diverse facce dell’amore che creano armonia nelle relazioni e sostanziano la vita. Il tempo della pandemia, mentre ci ha fatto cogliere l’estrema fragilità e precarietà della condizione umana, ci ha pure portato a riscoprire le gioie umili, quotidiane, fatte di sorrisi, di tenerezza, di bontà, di amabilità. Chiusi in casa e costretti ad una convivenza a volte faticosa, all’improvviso sono rifiorite esperienze di vera comunione, che forse non si vedevano da tempo, a cominciare dalle famiglie. Molte di queste hanno gustato la preghiera fatta insieme, tante hanno riacceso al loro interno il fuoco dell’amore, spento dagli egoismi e dalle chiusure che lacerano i rapporti, proprio sentendo la presenza di Gesù, accolto e celebrato nelle liturgie domestiche. Non possiamo sciupare questa eredità bella e feconda che il tempo della pandemia ci ha lasciato. Se lo facessimo, torneremmo inevitabilmente a quell’appiattimento esistenziale che toglie il gusto della vita. Pensiamo perciò ad una pastorale della speranza, dove ciascuno si esercita a cogliere i semina Verbi che Dio sparge a piene mani nel campo del mondo. Portiamo il nostro popolo a vedere le luci più delle ombre presenti tra noi. Aiutiamo a vincere quel pessimismo nocivo che tante volte affiora nelle nostre comunità e che porta a dire che non ne vale la pena impegnarsi per dare un volto giovane alla Chiesa, tanto… non cambia nulla! E le comunità prima boccheggiano per sopravvivere e poi muoiono. E così la Chiesa viene meno a quel suo compito primario di essere “il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1). Ci ritroveremo di conseguenza comunità anagraficamente cristiane, ma di fatto insignificanti perché incapaci di testimoniare e diffondere la gioia del Vangelo. L’aver sperimentato l’estrema precarietà della vita, porta a fare del cuore dell’uomo il terreno buono su cui gettare il seme della Parola, che deve diventare sempre più la luce che dà senso alla vita. Per questo ritengo che il nostro sia un tempo propizio per rilanciare l’evangelizzazione attraverso la testimonianza della carità: “Carissimi, se Dio ci ha amati così, – ci ha dato il suo Figlio! – anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1Gv 4,11-12).
Ripartiamo, carissimi, nel nostro lavoro pastorale, ricchi interiormente e consapevoli che il Signore, mediante la Chiesa, ci affida un compito esigente, sì, ma pur sempre esaltante. Oggi festa del S. Cuore sostiamo con intimo gaudio con il nostro Signore e Maestro. Accogliamo il suo invito: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”. A conclusione della celebrazione avremo un breve momento di adorazione eucaristica. Lasciamoci guardare da lui e guardiamo lui, con amore sconfinato. Ciò ci permetterà di far nostri i sentimenti del suo Cuore e impareremo da lui, che è mite ed umile di cuore. Sì, troveremo ristoro per la nostra vita, come lui ci ha assicurato! Chiediamogli di rendere il nostro cuore simile al suo, perché sia capace di amare il Padre, come lui lo ha amato, e amare i fratelli con la radicalità del dono della propria vita. Il Cuore di Cristo buon Pastore e il nostro, battano all’unisono nell’amore, per imparare quella carità pastorale che, ad imitazione del Signore Gesù, porti a farci tutto a tutti (cf 1Cor 9, 22). Diamo sempre più spazio al ministero della preghiera, che ci rende prossimi a tutti, anche ai cosi detti lontani e a quelli che rifiutano di credere in un Dio amore.
Permettete ora che richiami alla nostra memoria, per unirci al rendimento di grazie a Dio dei nostri fratelli, i diversi giubilei sacerdotali che cadono in questo anno: il 60mo di don Antonio Di Lorenzo, il 50mo di don Nicola Siliberti e di don Pinuccio Semeraro, il 70mo di Padre Giovanni Lunardi dei Benedettini, il 50mo di don Domenico Altieri, dei Missionari del Preziosissimo Sangue, e di Padre Alessandro Cibin dei Canossiani, il 25mo di Padre Pasquale De Giglio dei Benedettini. A loro associamo don Stefano Mazzarisi (10 anni di Sacerdozio) e don Gaetano Luca (compleanno). A tutti vogliamo far giungere l’abbraccio fraterno, con l’augurio di continuare a testimoniare la gioia di una vita spesa alla sequela del Signore Gesù. Questi fratelli ci parlano di fedeltà e perseveranza, di dedizione e generosità, di radicalismo evangelico e profezia. La loro vita è un canto d’amore per il Signore! A loro diciamo grazie dal profondo del cuore, mentre li affidiamo al Cuore Immacolato della nostra Madre Maria.
Mi è gradito comunicare inoltre che nel prossimo mese di settembre sarà ordinato diacono l’accolito Giuseppe Cantoro, della parrocchia S. Antonio Abate di Fasano. Sin da ora accompagniamo con la nostra preghiera Giuseppe, invocando su di lui abbondanza di Spirito Santo! Insieme a lui consegniamo, per le mani della Madonna, al Buon Pastore tutti i nostri seminaristi, chiedendo per loro perseveranza nel discernimento vocazionale.
Cuore di Cristo, la nostra famiglia presbiterale oggi rinnova la sua adesione e la sua consacrazione a te. Fa’ che ciascuno di noi abbia i tuoi stessi sentimenti, perché accostando i fratelli e le sorelle che tu ci affidi possiamo trasmettere loro misericordia e tenerezza. Amen.
+ Giuseppe Favale
Vescovo di Conversano-Monopoli