Messa Crismale – Omelia

Giovedì Santo 28 marzo 2024

Esperienza unica è quella che viviamo questa mattina, nell’appuntamento che si rinnova ogni anno il Giovedì santo: esperienza che pur ritualmente sempre identica, è tuttavia ogni volta nuova perché noi che vi prendiamo parte siamo presenti con la ricchezza di vita e di fede che maturiamo di anno in anno. Siamo qui innanzitutto per rendere grazie al Signore per il cammino che stiamo compiendo insieme, per far crescere i semi del Regno posti dalla Provvidenza nella nostra comunità e poi per ricevere con sempre più abbondanza il fiume di grazia che rifluirà, quale onda benefica, in mezzo a noi attraverso i santi olii, che tra poco saranno benedetti. Benvenuti allora carissimi fratelli e sorelle, rappresentanti delle diverse zone pastorali della Diocesi, e benvenuti soprattutto voi cari ragazzi e ragazze che riceverete il sacramento della Cresima nei prossimi mesi. Un saluto particolare lo rivolgo ai confratelli Vescovi, Mons. Giuseppe Laterza e Mons. Enrico Dal Covolo, che concelebrano l’Eucarestia, ma anche a Mons. Giuseppe Pinto, che pur non potendo essere fisicamente tra noi, è spiritualmente unito alla nostra celebrazione, ai Presbiteri, Diaconi e Consacrati.

La santa assemblea che la nostra Cattedrale raccoglie quest’oggi, è l’epifania della nostra Chiesa particolare. Essa riflette la ricchezza dei doni e dei carismi di cui il Signore l’ha ricolmata e che tanto frutto sta portando oggi, come pure ha prodotto nel corso della storia millenaria della nostra Chiesa. Mi piace pensare in questo momento come la nostra assemblea sia arricchita spiritualmente oltre che da noi, che rappresentiamo l’intera comunità diocesana, dall’immensa schiera di credenti, uomini e donne, pastori, consacrati e fedeli laici, che hanno raggiunto la Patria e ora godono la pienezza della vita nella visione del volto di Dio. Essi sono con noi con la loro testimonianza di fede e di carità apostolica, sono con noi e intercedono perché il nostro servizio alla storia porti frutto. In mezzo a loro scorgiamo in modo particolare il volto dei carissimi don Nicola Del Nero e don Giuseppe Curri dei Guanelliani, che nei mesi scorsi hanno concluso il loro pellegrinaggio terreno. Per loro chiediamo al Signore pienezza di gioia nell’abbraccio del Padre misericordioso.

Tutti insieme, noi e loro, e non solo in questa solenne liturgia, vogliamo “cantare per sempre l’amore del Signore”, come abbiamo ripetuto al salmo responsoriale. Sì, tutto nella vita del credente deve essere un canto all’amore del Signore. Un amore che ci raggiunge da tutta l’eternità, un amore che si è reso visibile in Cristo Signore, il Figlio amato, un amore che ha toccato il suo vertice nella Pasqua del Salvatore, il quale “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). La nostra vita, carissimi, deve essere un canto all’amore del Signore! Per questo il Signore ci ha riempiti del suo Spirito e ci ha unti con l’olio della letizia. La profezia di Isaia, ascoltata nella prima lettura, non si è compiuta solo in Gesù. Lui è l’Unto per eccellenza. Anche noi, in Lui, siamo partecipi della stessa unzione, consacrati dallo Spirito e mandati a portare la gioia dell’Amore di Dio ai poveri, ai prigionieri che, consci delle loro schiavitù, vogliono essere liberati dalle molteplici catene che li tengono oppressi, ai tanti disperati che hanno perso il gusto per la vita (pensiamo in questo momento a chi vive il dramma incommensurabile della guerra), ad ogni uomo e donna alla ricerca della verità. Questo è il significato del compito di essere pellegrini di speranza in mezzo ad una umanità che sembra essersi incamminata in un tunnel di morte.

È bello in questo momento pensare a quando l’olio della letizia ha inondato con il suo profumo la nostra vita. La prima grande unzione è quella che lo Spirito ha compiuto in noi nel Battesimo. Quanto è necessario, carissimi, tornare all’unzione battesimale, quell’unzione che ci ha resi tutti partecipi del Sacerdozio di Cristo! Pensando al nostro Battesimo, con il salmista anche noi possiamo dire: “Sono in te tutte le mie sorgenti” (Sal 87,7). Tutto nasce da lì! Quel giorno abbiamo dismesso l’abito da lutto per indossare la veste di lode; lo spirito mesto ha ceduto il posto al canto della gioia, ma soprattutto ci siamo rivestiti di Cristo. Nel Battesimo c’è la radice di ogni ministerialità nella Chiesa, perché ogni ministero ha la sua sorgente in Cristo ed è esplicitazione del suo servizio all’umanità bisognosa di misericordia.

Ritornare a Cristo! A questo, carissimi, ci porta la celebrazione della Pasqua, che inaugureremo questa sera con la Messa in coena Domini. Questo richiamano gli olii che tra poco benediremo e che esprimono la nostra partecipazione alla ministerialità di Cristo. Dal Battesimo alla Confermazione, dall’Ordine sacro all’Olio degli infermi, tutto ci riporta a Cristo! In ogni Sacramento è Cristo che agisce, ogni Sacramento trasmette la grazia che a Cristo ci unisce. Sì, Cristo! Senza di Lui non possiamo nulla. È da Lui, come da vite feconda, che giunge a noi la linfa che ci dà vita. Non possiamo e non dobbiamo distogliere lo sguardo da Lui. Mi tornano alla mente quelle toccanti parole di San Paolo VI, con cui egli scandiva una invocazione accorata a Cristo: “Tu ci sei necessario”. Oh, quanto ci è necessario Cristo! È Lui la perla preziosa, il tesoro nascosto da scoprire, per possedere il quale dobbiamo essere disposti a lasciare tutto. Riprendiamo tra le mani questa preghiera e facciamola risuonare nel nostro cuore mentre ci fermiamo a contemplare il Suo volto. Richiamo qui solo alcuni passaggi, che sono di una bellezza incomparabile:

 

O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario:
per vivere in Comunione con Dio Padre;
per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi;
per essere rigenerati nello Spirito Santo.

Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano,
per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini,
i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace.

Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi,
per imparare l’amore vero e camminare nella gioia e nella forza della tua carità,
lungo il cammino della nostra vita faticosa,
fino all’incontro finale con Te amato, con Te atteso,
con Te benedetto nei secoli.

 

Carissimi, se con convinzione affermiamo che Lui ci è necessario, allora ci rendiamo conto che lo stare con Lui non può essere relegato a quando si ha un po’ di tempo, qualche scampolo di tempo che ci rimane dopo aver fatto altro, che forse riteniamo più importante perché più appagante umanamente. L’incontro quotidiano con Lui, e nella preghiera personale e nella celebrazione liturgica, deve essere – nello scorrere del tempo che caratterizza le nostre giornate – il momento più atteso e cercato per portare al nostro cuore sollievo, pace, luce, consolazione, fortezza. E se questo è vero per ogni credente che vuol vivere la propria vocazione battesimale, lo è tanto più per noi pastori, che abbiamo deciso nella libertà del cuore di dare tutto di noi a Lui per essere segno vivo del Suo amore con la nostra carità pastorale.

Permettete che mi rivolga a voi, cari presbiteri, perché questo giorno ci appartiene in modo particolare. Esso ci fa tornare con la memoria del cuore all’evento della nostra Ordinazione. Lo faremo tra poco attraverso la rinnovazione delle promesse sacerdotali. Può capitare a tutti noi, per la fatica del ministero, di soffocare l’entusiasmo di quel momento di grazia quando siamo stati costituiti segno vivo di Cristo buon Pastore. Quel giorno quanti sogni, quanta voglia di metterci in gioco per il Vangelo! Ma poi forse si è affacciata la delusione, perché quel che si vive non è come ce l’aspettavamo. Ed ecco che la stanchezza, causata molto spesso dai fallimenti, dalle fragilità, dalle frustrazioni, dalle incomprensioni, inizia a prendere possesso di noi. E dalla stanchezza è facile passare ad un senso di inutilità, a quella vacuità che spesso rende opaca la nostra vita sacerdotale.

Credo che oggi sia opportuno domandarci come manteniamo vivo il dono di Dio a noi fatto con l’imposizione delle mani del nostro Vescovo (cf 2Tim 1, 6). Abbiamo cura della nostra vita sacerdotale? Non dimentichiamo che primo responsabile di tale compito è ciascuno di noi. In particolare, chiediamoci se ci manteniamo costantemente uniti a Colui che rende giovane il nostro cuore. Ci fa bene ricordare che il giorno della Ordinazione abbiamo detto: “Sì, con l’aiuto di Dio, voglio essere più strettamente unito a Cristo, Sommo sacerdote […] consacrando me stesso a Dio insieme a Lui per la salvezza di tutti gli uomini”. Tra poco richiamerò questo impegno e vi chiederò: “Volete unirvi e conformarvi intimamente al Signore Gesù, rinunciando a voi stessi e rinnovando i sacri impegni che, spinti dall’amore di Cristo, avete assunto con gioia verso la sua Chiesa nel giorno della vostra ordinazione sacerdotale?”. Proposta esigente, certo, soprattutto nella richiesta di rinunciare a noi stessi, ma non impossibile! In queste parole vi è il segreto per rendere fecondo il ministero e vincere ogni stanchezza e delusione. Solo uniti a Gesù e resi partecipi della Sua vita divina, riusciamo a conformarci a Lui e da Lui impariamo ad essere uomini afferrati dall’amore del Padre e totalmente dediti all’amore verso i fratelli.

In questa luce, comprendiamo il valore della preghiera, perché grazie ad essa ci uniamo intimamente a Cristo e facciamo nostri i sentimenti del Suo Cuore e avvertiamo il bisogno di spenderci per i fratelli e le sorelle a noi affidati. Essa ci forma alla missione dandoci l’entusiasmo di lavorare nella vigna del Signore. Senza preghiera ci inaridiamo e rischiamo di “fare le cose di Dio” in maniera meccanica, magari pure in modo ineccepibile, impeccabile, da bravi tecnici della pastorale, ma senza far passare il soffio vitale dello Spirito Santo. E senza lo Spirito Santo tutto muore e la Chiesa non è più Chiesa e noi non siamo più pastori ma funzionari del sacro! Risvegliamo la gioia della preghiera che, ricordiamolo, “non è evasione, ma invasione del divino nella vita” (Paolo VI). Il tempo della preghiera è quello in cui lasciamo entrare il Signore nella nostra esistenza e ci lasciamo trasformare in Lui.

La preghiera così vissuta rende apostolica la nostra vita, perché ci dà il coraggio di alzarci e di metterci in cammino sulle orme di Cristo per portare il lieto annuncio dell’Amore di Dio. Alzarsi, camminare, annunciare il Regno: sono i verbi dell’apostolo chiamato ad essere testimone della Pasqua. Questa dinamica missionaria, che è l’anima del percorso sinodale che stiamo vivendo, è il frutto di una vita fatta preghiera! Pastori che pregano diventano modello di preghiera per l’intero popolo di Dio. Compito precipuo di ciascuno di noi, cari fratelli Presbiteri, è insegnare a pregare! Siamo preti per condurre i nostri fedeli all’incontro con Dio. Non rinunciamo a questa primaria responsabilità! E soprattutto non dimentichiamo che il servizio più alto da rendere alle nostre comunità è il ministero della preghiera, in particolare di intercessione, sull’esempio di Mosè e soprattutto di Cristo, il grande intercessore presso il Padre. Appartiene a questo servizio di intercessione per il popolo a noi affidato l’impegno che Vescovo e Parroci abbiamo di celebrare ogni Domenica la Missa pro populo. Non è solo obbligo canonico, è piuttosto esigenza di farci prossimi con il dono della preghiera ai nostri fedeli.

Papa Francesco ha voluto dedicare questo anno in preparazione al Giubileo del 2025 ad una grande sinfonia di preghiera (cf Lettera di Francesco a Mons. Fisichella). Sia questo tempo occasione preziosa per tutta la nostra Chiesa di Conversano-Monopoli per riscoprire la bellezza dell’abitare con il Signore in quel dialogo d’amore che ci permette di stare alla Sua presenza, ascoltarlo e adorarlo.

In questo contesto di gioiosa e grata memoria dei doni di Dio vogliamo ricordare i giubilei sacerdotali di alcuni confratelli: i 70 anni di sacerdozio di padre Pio Dandola dei Frati Minori, i 60 anni di don Vito Schiavone e i 50 anni di don Leonardo Sgobba e di don Rosario Pacillo dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Grazie fratelli carissimi per la vostra vita consumata nell’amore. Testimoniateci il primato di Dio nella vostra vita con il fuoco della preghiera, che mentre riscalda il vostro cuore dona luce all’intera Chiesa.

Nello stesso tempo, il nostro pensiero va ai confratelli che per l’età avanzata o per la malattia non sono con noi oggi. Vogliamo raggiungerli con il nostro sincero affetto e con la nostra preghiera, certi che servono la Chiesa in una maniera tutta speciale, con la loro sofferenza, resa feconda dalla loro partecipazione alla Croce di Cristo.

Sentendo sin da questa mattina il profumo della Pasqua, alziamo lo sguardo verso il Crocifisso Risorto, “Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre” (Ap 1, 6) e,  contemplandolo con stupore e amore, acclamiamo “a te la gloria e la potenza nei secoli dei secoli: Amen”