BASILICA DEL SANTO ROSARIO – POMPEI
8 maggio 2024
(At 1,6-14; Lc 1,46-55; 1Gv 3,14-18; Lc 1, 26-38)
Ancora una volta oggi si eleva accorata, qui a Pompei e in tante altre parti del mondo, la Supplica alla Vergine del Rosario, preghiera a tanti di noi particolarmente cara, avendoci da sempre accompagnato nel cammino di vita cristiana. Vogliamo viverla oggi in maniera ancora più intensa nel contesto dell’Anno della preghiera voluto dal Santo Padre come tempo di preparazione al prossimo Giubileo 2025. Pellegrini di speranza: questo siamo esortati a diventare! Viandanti, come i primi cristiani, “quelli della via”, che in un mondo sempre più disperato, diffondono la Speranza che sgorga dalla Pasqua di Cristo.
Questa mattina, noi pellegrini con Maria, siamo voce di una folla sterminata di credenti che guardano alla Madre di Dio affidandole le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono (cf GS 1). Sì, siamo qui dinanzi a questo Tempio che è memoria viva del coraggio ardimentoso e lungimirante di due testimoni del Vangelo, il Beato Bartolo Longo e la sua consorte Marianna Farnararo, portando nella preghiera non solo quanto è racchiuso nel nostro cuore ma anche ciò che a noi giunge come grido accorato da tante parti del mondo, in quest’ora difficile e carica di incognite per il futuro dell’umanità. Nella Supplica, che tra poco eleveremo, si raccoglie la concretezza della vita quotidiana di tanti uomini e donne, trasformandola in invocazione rivolta alla più tenera tra le madri. È una preghiera di intercessione che raggiunge il Cuore della Madre e a Lei si chiede, come frutto desiderato per tutti, la Misericordia. Stupenda è l’immagine usata per esprimere la forza dell’invocazione che sale dai cuori dei figli: “E noi, gementi, stendiamo a te le mani supplichevoli, gridando. Misericordia!”.
Mani stese verso il cielo: questo siamo noi oggi qui a Pompei e in tante altre parti del mondo, mentre supplichevoli ci rivolgiamo a Colei che è onnipotente per grazia, a Colei che ci ispira la fiducia di essere esauditi. Mani di figli che cercano le braccia della Madre per essere da Lei accolti; mani che portano il dolore e il sangue innocente di tanta parte di umanità, soprattutto di coloro che sono calpestati nella dignità e che non hanno voce nel consesso dei grandi della terra; mani che si innalzano verso il cielo con la certezza che dal trono di clemenza dove siede regina, Maria volgerà il Suo sguardo pietoso con compassionevole tenerezza verso gli affanni e i travagli che amareggiano la vita di tanti in questo nostro tempo. Come non prestare attenzione alle lacrime di chi piange in terre dilaniate dall’odio e dalla violenza e anela a giorni di pace? Si può rimanere insensibili e indifferenti dinanzi a tante tragedie che oscurano la nostra quotidianità? Da questo luogo, che da valle di morte è diventata valle di vita grazie alla luce portata da Maria, vogliamo far salire al cielo l’anelito di chi da mesi o addirittura da anni, in ogni angolo della terra, vive il dramma della guerra e vede nel proprio orizzonte addensarsi nubi oscure che promettono solo distruzione e morte.
Raccolti qui in assemblea avvertiamo che, come nella comunità di Gerusalemme, Maria è in mezzo a noi e a Lei chiediamo che in una rinnovata Pentecoste lo Spirito Santo venga a rinnovare la faccia della terra, abbattendo i muri che dividono e aprendo sentieri di riconciliazione e di pace. A Dio nulla è impossibile, come abbiamo ascoltato nella pagina evangelica. Proprio perché unita alla preghiera della Madre, la nostra invocazione acquista una forza maggiore e siamo certi che il Signore scioglierà i cuori induriti dall’odio. Quanto è annunciato dalla parola che campeggia sulla facciata del Santuario – Pax – sia il frutto della nostra accorata supplica a Maria. Sia pace per le nazioni traviate, per tutta l’Europa, per tutto il mondo. Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia!
Cari fratelli e sorelle, con profonda gioia ho accolto l’invito a presiedere questa celebrazione rivoltomi dal Pastore della Chiesa di Pompei, per fare memoria con voi in questo giorno, ricco di riferimenti a tanti eventi legati alla storia del Santuario, del centenario della morte della Contessa Marianna Farnararo, avvenuta il 9 febbraio 1924, cofondatrice delle insigni Opere pompeiane insieme al suo sposo, il Beato Bartolo Longo. Grazie, carissimo fratello Tommaso, per questa delicata attenzione che hai avuto nei confronti della Chiesa che ha dato i natali a Marianna. Io sono qui quest’oggi in quanto Vescovo di Conversano-Monopoli e con me porto tutta la ricchezza di pietà mariana che qualifica Monopoli, la quale si onora del titolo di Civitas Mariae, a lei conferita in occasione del IX centenario della venuta dal mare della venerata Icona della Madonna della Madia. La storia della nostra città è illuminata dalla devozione alla Madre di Dio e per tutti l’Icona dell’Odigitria, custodita nella Basilica Concattedrale, è un riferimento insostituibile. In ogni casa vi è l’immagine della Madonna della Madia e dalla più tenera età i bambini imparano a rivolgere lo sguardo e la preghiera a Lei, che veglia quale Madre provvida su ogni famiglia. Questo clima di profonda religiosità mariana ha respirato la piccola Marianna, venuta alla luce a Monopoli il 13 dicembre del 1836. Certamente anche la sua famiglia è stata luogo dove si educava a guardare a Maria e a rivolgersi a Lei con fiducia. A me piace pensare alle tante volte in cui lei, piccola, condotta dalla sua mamma, si recava davanti all’Icona della Madonna della Madia e lì si lasciava guardare da quegli occhi dolcissimi, pregni di luce, che si posavano su di lei. Lì ha imparato a confidare nella Mamma del Cielo, lì ha imparato a pregare e ad affidare a lei le sofferenze del suo cuore di bambina, soprattutto quando ad appena 9 anni perse il papà. A Monopoli Marianna ha mosso i primi passi nella vita, nella fede e nell’amore alla Madonna e quegli anni sono stati per lei la radice feconda che mai si è inaridita e che ha portato i suoi frutti nel tempo. Quanto è importante, carissimi fratelli e sorelle, l’educazione alla fede che avviene in famiglia! Trasmettere le fede ai figli deve essere l’impegno primario dei genitori cristiani. Nessuno abdichi a questa responsabilità. Insegnare a pregare e ad aver fiducia in Dio, far sentire che Maria è la Mamma comune, affidando a Lei la propria vita, aiutare a guardare i fratelli con gli occhi e il cuore di Gesù: così si comunica la bellezza della fede.
Quando, poco più che tredicenne, con la mamma e il fratello maggiore si è trasferita a Napoli, ella aveva ormai le qualità necessarie per compiere le sue scelte di vita. Giovanissima sposò il Conte De Fusco e rimasta vedova ancor giovane con cinque figli da accudire non si perse d’animo e forte della sua fede iniziò un percorso che le permise di raggiungere la sua maturità di donna e di credente. Grazie anche a incontri che caratterizzarono quel periodo della sua vita, la Provvidenza le permise di venire a contatto con anime elette che rendevano la Napoli dell’ottocento e dei primi del novecento una fucina di santità. Ella è stata coinvolta in una rete di relazioni tutte di altissima qualità spirituale, dall’Arcivescovo Riario Sforza ai padri Ludovico da Casoria e Alberto Radente, da Caterina Volpicelli a Giuseppe Moscati, per citarne solo alcuni tra i più noti, i quali con la loro opera lasciarono in lei tracce indelebili. È proprio vero che lo Spirito Santo sa mettere insieme, per vie che solo Lui conosce, creature che con il profumo della loro santità riescono ad incidere profondamente nella storia, al punto da divenire stelle che danno luce in tempi bui, facendo rifiorire la speranza e la gioia in tutti coloro che vengono a contatto con loro.
Così è stato nella Chiesa di ieri, così vogliamo avvenga nella Chiesa di oggi, che ha più che mai bisogno di una fioritura di santità ordinaria per continuare ad essere sale della terra e luce del mondo (cf Mt 5,13-16). Non dobbiamo dimenticare, cari fratelli e sorelle, che anche in noi agisce lo Spirito, che ci indica la qualità alta della vita cristiana a cui tutti dobbiamo tendere. La santità cristiana non è per pochi privilegiati ma è dono per ogni battezzato che, innestato come tralcio alla vite che è Cristo, è chiamato a portare frutti buoni nella carità. A tal proposito siamo grati a Papa Francesco che nel 2018 ci ha richiamato a questa fondamentale vocazione, offrendoci un testo bellissimo che può aiutarci nel cammino di riappropriazione della comune radice di vita cristiana che è la santità. Come impegno che scaturisce da questo nostro ritrovarci uniti oggi a Maria, Regina del Santo Rosario, riprendiamo tra le mani l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate e ripartiamo nel vivere la gioia della nostra chiamata alla santità, consapevoli che il Signore “ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente” (GE 1).
La Provvidenza ha voluto che soprattutto un incontro segnasse per sempre la vita di Marianna, ed è quello con l’avvocato Bartolo Longo. Non è certo questo il momento per richiamare le vicende che portarono all’incontro di due persone, che pur totalmente diverse tra loro, riuscirono a mettersi all’unisono a servizio del progetto di Dio. Piace però sottolineare che entrambi furono afferrati dalla forza della carità, che fu l’anima di ogni loro azione apostolica. Se riuscirono a rivoluzionare un contesto sociale difficile, ciò fu possibile perché nel loro cuore c’era un fuoco che li divorava, il fuoco dell’amore di Dio! Ricordiamo cosa fosse questo territorio quando vi giunsero la prima volta: era una terra di briganti e di contadini che vivevano nell’indigenza più assoluta. Non si persero d’animo e mettendo mano ad un’opera di rinascita spirituale e sociale riuscirono a dissodare un terreno inaridito dalla miseria.
Quanto abbiamo ascoltato nel brano della seconda lettura sembra fotografare alla perfezione il cammino spirituale non solo di Bartolo Longo ma anche di Marianna Farnararo. Entrambi hanno conosciuto l’amore di Dio attraverso l’incontro con Gesù, che ha dato la vita per noi. Da ciò è stato logico accoglierne le conseguenze, che l’apostolo Giovanni così delinea: “quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16). Hanno dato la vita per i fratelli mettendo a disposizione dei bisognosi non solo la ricchezza del loro cuore e della loro intelligenza ma anche quanto possedevano, coinvolgendo molti altri dell’aristocrazia e della borghesia napoletana in questa avventura di generosa solidarietà. In particolare donna Marianna, che nel frattempo si era spogliata di tutto, scelse di abbracciare la povertà quasi per solidarizzare con i meno abbienti, sull’esempio di Cristo che da ricco si fece povero per arricchire tutti con la sua povertà (cf 2Cor 8,9). Si rimane stupiti nel constatare cosa può provocare la forza della carità! Caritas Christi urget nos! (2Cor 5,1) La carità di Cristo ci possiede, dice l’apostolo Paolo. Davvero Marianna è stata afferrata dall’amore di Cristo ed ha saputo amare tutti, coltivando una finezza interiore che l’ha portata a cogliere il valore dei gesti feriali della carità. È arrivata a farsi piccola con i piccoli, vivendo una maternità spirituale che la rendeva sensibile soprattutto verso quelle fasce sociali più emarginate e abbandonate, come ad esempio i figli e le figlie dei carcerati. Pur vulcanica e determinata caratterialmente, ha saputo coltivare l’umiltà del cuore che l’ha portata a preferire di gran lunga il nascondimento, non disdegnando comunque di stare in prima linea, combattiva, quando bisognava onorare la Madre di Dio e i poveri.
Oggi, nel giorno consacrato alla Regina del Rosario di Pompei, è significativo aver fatto memoria di colei che insieme a Bartolo Longo ha dato avvio alla rinascita di questo territorio, che da luogo di morte è diventato faro di luce, i cui raggi benefici continuano ancora a irradiarsi in ogni angolo della terra. Se Pompei è diventato un centro propulsore di Misericordia, lo dobbiamo alla fede e al coraggio di due creature che, alla scuola della Vergine di Nazaret, si sono rese strumenti docili nelle mani dell’Onnipotente. Hanno creduto all’Amore e hanno portato Amore, quell’Amore che continua a sgorgare come Acqua purissima dal grembo di Colei che con l’Eccomi detto all’Angelo Gabriele ha permesso a Dio di diventare nostro Fratello e Salvatore. Bevendo quest’Acqua viva, crediamo all’Amore e portiamo Amore e unendoci al canto di lode di Maria, riconosceremo che ancora oggi Dio fa grandi cose nella vita di chi si affida a Lui. Esultanti nello Spirito, diffonderemo così nel mondo il buon profumo di Cristo.