V DOMENICA DI QUARESIMA
Ger 31, 31-34; Eb 5, 7-9; Gv 12, 20-33.
Intravediamo ormai prossima la luce della Pasqua e la liturgia ci aiuta ad entrare nei sentimenti del Cuore di Cristo per farli nostri e rendere così fruttuosa la nostra partecipazione agli eventi che ci apprestiamo a celebrare nella Settimana Santa, eventi che sono la fonte della nostra salvezza. Introducendoci alla celebrazione, nella preghiera liturgica abbiamo chiesto al Padre misericordioso di poter camminare, sostenuti dalla sua grazia, in quella carità che spinse il Figlio a consegnarsi alla morte per la vita del mondo (Colletta). È proprio la carità del Figlio di Dio, che raggiunge la sua pienezza nell’ora della Croce, l’annuncio che ci viene offerto dalla Parola di Dio ascoltata poc’anzi. È la carità che ha plasmato il Cuore di Cristo.
La pagina evangelica e il brano della Lettera agli Ebrei ci permettono di scrutare il Cuore del Salvatore per leggervi come Lui ha vissuto quell’ora di tenebra e di luce, quell’ora attesa perché segnava il momento della sua glorificazione, non secondo la logica del mondo ma secondo la logica di Dio. Gesù era consapevole che si stava compiendo la volontà del Padre nella sua vita, sapeva che quell’ora richiedeva l’offerta della sua vita e che l’opera affidatagli dal Padre per portare frutto doveva passare attraverso il buio della morte. Per questo, utilizzando l’immagine del chicco di grano, egli profetizza quanto gli sta per accadere in quegli ultimi suoi giorni.
Gesù è salito a Gerusalemme per la Pasqua insieme ai discepoli e a tanti pellegrini. Tra questi vi sono alcuni Greci, vicini alla fede di Israele, che sentendo parlare di Gesù vogliono incontrarlo. Si rivolgono a Filippo e gli chiedono: “Signore, vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21). Non è semplice curiosità, c’è qualcosa in più. Nel voler vedere c’è il desiderio di incontralo, un incontro che potrebbe poi aprirsi ad un atto di fede. Filippo ne parla con Andrea e insieme vanno da Gesù per presentare la richiesta. A prima vista sembra strana la reazione del Maestro, che invece di rendersi disponibile all’incontro risponde con l’annuncio che è giunta l’ora della sua glorificazione e lo fa attraverso la parabola del chicco di grano che per portare frutto deve cadere nella terra per morire. Subito egli passa dall’immagine alla realtà. Inizia a lasciar trasparire come egli sta vivendo quell’ora, facendo intendere che è lui il chicco che sta per cadere in terra: “adesso l’anima mia è turbata”. (Gv 12,27). Una sincera paura di morire. Un’angoscia profonda per l’imminente passione. Giovanni anticipa, rispetto agli altri evangelisti, l’angoscia mortale che proverà il Signore nel Getsemani la sera dell’arresto.
Gli fa eco il brano della Lettera agli Ebrei, che aggiunge una nota di impressionante drammaticità. Gesù piange e rabbrividisce nella prospettiva della morte: “Cristo nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte” (Eb 5, 7). Chiede al Padre che il calice delle sue sofferenze passi oltre. “Che cosa dirò? Padre salvami da quest’ora?” (Gv 12, 27), si domanda retoricamente per dire che ha paura. Ma sofferenza e paura non possono distoglierlo dal Padre. Non può che obbedire. Non può che affidarsi a Lui: “ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome” (Gv 12, 27-28). Come lo sentiamo vicino a noi Gesù! Umanissimo! Quell’ora la vive non in modo impassibile, come se fosse una finzione. No, lui ha sofferto davvero. Quell’ora l’ha vissuta compiendo un atto di fede che, sarà totale quando, confitto in Croce, consegnerà il suo Spirito al Padre (cf Lc 23, 46). Il suo Cuore, pur sconquassato dal dolore, è illuminato dalla fiducia che il Padre non lo abbandonerà.
Torniamo allora alla richiesta dei Greci e ci accorgiamo che Gesù non ha eluso la domanda. Ha voluto piuttosto far cogliere che è possibile vederlo, comprendendone pienamente l’identità, nel momento della passione, quando pur non avendo più aspetto d’uomo, sfigurato come sarà dalla sofferenza, nel suo volto di uomo dei dolori sarà possibile cogliere la manifestazione piena di Dio. Incontrandolo nell’ora della glorificazione stabilita dal Padre, non solo quei Greci ma anche tutti gli uomini cercatori di Dio, potranno dire di aver visto nel volto di un uomo crocifisso il volto stesso di Dio, del Dio Amore, che “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio” (Gv 3, 16), del Dio fatto carne che “portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia” (1Pt 2, 24). Si compirà allora la profezia che conclude la pagina evangelica odierna: “e io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12, 32). Sperimenteremo così che, guariti dalle sue piaghe, siamo resi partecipi dell’alleanza nuova, annunciata dal profeta Geremia, quell’alleanza che il Signore ha scritto nel cuore degli uomini con la Pasqua del Figlio. Lasciamoci allora attrarre dalla bellezza divina del Crocifisso innalzato da terra e… avremo vita! In abbondanza!