La memoria degli Apostoli nel corso dell’anno liturgico permette alla Chiesa che cammina nel tempo di ritornare alle proprie origini, alle proprie radici, alla testimonianza di quegli uomini, scelti e chiamati da Gesù perché condividessero la sua vita e fossero poi i continuatori della sua opera nel mondo. Quest’oggi facciamo memoria dei Santi Simone e Giuda, i cui nomi sono risuonati poc’anzi, insieme a quelli degli altri Apostoli, nel racconto dell’evangelista Luca. I dodici sono uomini che, incontrato il Maestro di Nazaret nella concretezza del loro vissuto quotidiano, hanno avuto il coraggio di lasciare tutto – affetti, lavoro, sicurezze – per andare con lui. Il Signore Gesù aveva sicuramente uno sguardo che scendeva in profondità e una parola che non lasciava indifferenti, se questi uomini, che non erano certo il fior fiore del popolo di Israele, sono stati capaci di scelte così forti da dare una svolta radicale alla loro vita.
Chissà cosa avranno provato quel giorno, quando incontrando il Maestro dopo una notte da lui passata in preghiera, lo sentono che li chiama vicino a sé per rivolgere loro l’invito a rimanere con lui. In un attimo si sono affacciati nel loro cuore tanti ricordi. È vero, stavano insieme da poco, però già forte era il legame che ne era nato. Sarà affiorato immediatamente nel loro ricordo il primo incontro, quando pur indaffarati nelle loro occupazioni quotidiane, avvertono un’immediata simpatia per lui, che si è fermato a dialogare proprio con loro. Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni erano intenti al loro lavoro di pescatori quando Gesù ha fatto irruzione nella loro vita (cf Lc 5, 1-11). Levi – Matteo era al banco delle imposte nel momento in cui si sente rivolgere l’invito a seguirlo (cf Lc 5, 27-28). Immagino il turbinio vorticoso dei sentimenti interiori quando si sono resi conto che era seria la proposta da lui fatta di seguirlo. Non era un gioco! Sì, veniva loro chiesto se erano disposti a lanciarsi in un’avventura di cui non sapevano, in quel momento, quale sarebbe stato l’esito. A me ha fatto sempre impressione la prontezza con cui quei primi discepoli hanno risposto alla chiamata del Signore: “lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5, 11); “ed egli – Matteo – lasciando tutto, si alzò e lo seguì” (Lc 5, 28). Gesù aveva un fascino tutto particolare – davvero conquistava immediatamente – se uomini poco avvezzi alle banalità in un attimo danno una svolta così radicale alla loro vita.
Ma perché proprio loro? Ormai diversi erano i discepoli che si erano radunati attorno a Gesù. Come mai il suo sguardo si era posato proprio su di loro? La risposta ci viene dall’evangelista Luca nel brano che abbiamo ascoltato: “Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici” (Lc 6, 12-13). La scelta nasce nella preghiera, nel dialogo intenso e profondo con il Padre, che si realizza nella forza dello Spirito, nel quale Gesù viveva ormai continuamente, come lo stesso Luca ci attesta all’inizio della sua vita pubblica: “pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito” (Lc 4, 1). La vocazione dei dodici nasce nel cuore della Trinità, per puro ed esclusivo amore gratuito della Trinità. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15, 16), così l’evangelista Giovanni, attraverso le parole di Gesù, richiama il momento intenso vissuto quel mattino, quando sceso dal monte Gesù chiamò quelli che volle. Egli non ammette autocandidature! “Mentre camminavano per la strada un tale gli disse: Ti seguirò dovunque tu vada” (Lc 9, 57). Qualsiasi altro Rabbì avrebbe accolto a braccia aperte, pur di rimpolpare il gruppo dei propri seguaci. Gesù no! È lui che deve scegliere e chiamare. “ Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (ivi). Non ha chiamato lui, per questo scoraggia l’anonimo interlocutore, prospettandogli la precarietà della vita con lui.
Da sempre Dio ha agito così. Tutti i grandi uomini e donne della rivelazione biblica, attraverso l’irruzione di Dio nella loro vita – non dimentichiamolo, a volte avveniva in maniera straordinaria, il più delle volte invece in forme discrete e silenziose – hanno capito che c’era un progetto per loro, pensato da tutta l’eternità. Ogni chiamata è sempre partita da un atto della volontà di Dio. Ne fa fede la testimonianza del profeta Geremia ascoltata nella prima lettura: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: Prima di formarti nel grembo materno ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni” (Ger 1, 4-5). Il progetto di Dio sul suo consacrato nasce dall’eternità! La chiamata poi è sempre per una missione, non è mai per dare gloria umana al prescelto, non è mai per un tornaconto personale :”Tu andrai a tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò” (Ger 5,7a). Si è mandati per portare la Parola del Signore. Così è stato per Geremia, così sarà per i dodici. Spesso si è latori di una Parola scomoda, perché mette in crisi e richiama all’impegno personale, una Parola che sconquassa e chiede la conversione innanzitutto di chi la porta in dono agli altri. Una Parola che non può essere mai edulcorata e addolcita per far piacere al potente di turno. Una Parola da annunciare con coraggio, sapendo che è Lui, il Signore, che la fa fiorire sulle labbra del Suo profeta: “Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti. Oracolo del Signore. Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse: ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca” (Ger 1, 8-9). La certezza che il Signore non abbandona il Suo consacrato dà forza e coraggio ad ogni chiamato. La promessa di Dio io sarò con te è la luce che brilla nelle tenebre della prova di ogni chiamato! Sì, perché – e questo non dimentichiamolo mai! – il cammino è spesso accompagnato dalla prova, che è sempre esperienza di purificazione per la crescita.
Miei cari, quanto la Scrittura ci annuncia in questa liturgia si è compiuto nella storia di tutti i chiamati. Dio è sempre all’opera portando a compimento il suo disegno di salvezza. Il nostro Dio è fedele alla promessa e non viene mai meno il suo desiderio di dialogare con l’uomo per ammetterlo alla comunione con sé. Dio costruisce il suo Regno ogni giorno, ed è presente nella storia anche, e nonostante, le pietre d’inciampo che noi poniamo alla realizzazione del suo progetto. Dio è infinitamente più grande delle miserie umane! Per questo Egli continua a volgere il suo sguardo di compiacenza su coloro che ha scelto e chiamato, così come ha fatto in questi duemila anni del cammino della Chiesa nella storia.
Stasera noi accogliamo il dono della chiamata che il Signore ha rivolto al nostro carissimo don Filippo. In questa celebrazione che è kairos per lui e per la nostra Chiesa di Conversano-Monopoli, noi diamo concretezza alla voce del Pastore grande delle pecore, il Signore nostro Gesù Cristo, che è risuonata nel cuore di Filippo dalla più tenera età e che mano a mano che egli cresceva negli anni si è fatta sempre più chiara e coinvolgente, al punto che è arrivato il momento in cui egli si è arreso alla forza e alla bellezza di quella Parola. In questi anni quante volte ha ripetuto il suo eccomi, nel silenzio della sua preghiera e soprattutto dinanzi alla Chiesa, che gli chiedeva se fosse disposto a lasciare tutto per seguire il Buon Pastore, che si stava rivelando nella sua vita. Il suo sì è maturato nel grembo della Chiesa, che ha coltivato e fatto crescere il seme della vocazione. Il grembo della Chiesa è stato per lui la sua famiglia, la parrocchia, il seminario minore diocesano e il seminario maggiore regionale di Molfetta. Sento di dover ringraziare dal profondo del cuore tutti coloro che hanno contribuito a far maturare questo seme, che ora albero rigoglioso è pronto a produrre i suoi frutti nel ministero: i genitori Cosimo e Grazia, il mio venerato predecessore Mons. Domenico Padovano che lo accolto in Seminario e lo ha ordinato diacono, il parroco di S. Maria del Rosario don Pasquale Vasta, i diversi superiori del seminario diocesano e i superiori del seminario regionale, qui rappresentati dal Rettore mons. Gianni Caliandro, che saluto con gratitudine anche per la presentazione che ha fatto del candidato.
Consentitemi ora, cari fratelli e sorelle di rivolgermi direttamente a don Filippo sul quale tra poco imporrò le mani sul capo per imprimere in lui, attraverso l’azione dello Spirito Santo, il carattere indelebile del sacro ordine del Presbiterato.
Carissimo Filippo, stasera si compie nella tua vita la Parola di Dio che abbiamo ascoltato. Quel Dio che ti ha pensato e amato da tutta l’eternità, quel Padre buono e misericordioso che in quella notte di preghiera ha ispirato Gesù, suo Figlio, perché ti scegliesse e chiamasse insieme ai dodici e a tutti gli altri pastori che in questi secoli si sono affiancati al loro ministero apostolico, quel Dio che vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità (cf 1 Tim 2,4), quel Dio stasera compie in te la sua opera! In questa nostra Basilica Concattedrale aleggia lo Spirito del Risorto, perché è lui il protagonista di ogni evento sacramentale, ed è lui che impregnerà la tua vita con l’olio profumato della sua presenza, consacrandoti per sempre a Dio. Non ti appartieni più. Sei di Cristo e per amore suo ti metti a servizio della Chiesa. Le domande che tra poco ti rivolgerò e a cui tu risponderai con il tuo sì, lo voglio, espliciteranno quel che ti attende nel ministero. in particolare, ti verrà chiesto se vorrai insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera.
Sottolineo questo impegno perché tu ricevi il presbiterato in questo Anno Santo straordinario dedicato alla misericordia. Questo mi spinge a chiederti di essere sempre, sino all’ultimo istante della tua vita, il prete della misericordia. Prete che sperimenta continuamente la misericordia di Dio nella sua vita, prete che annuncia, testimonia, trasmette la misericordia di Dio nella Chiesa e nel mondo. Credi fermamente che il cuore misericordioso di Dio è più grande del peccato dell’uomo e che a Lui nulla è impossibile, anche cambiare radicalmente la vita incallita nel male del peccatore. Parla della tenerezza di Dio, fa conoscere a tutti che eterna è la sua misericordia, trasmetti la misericordia di Dio, facendola scendere copiosa con la celebrazione dei sacramenti dell’Eucarestia e della Penitenza. A questo proposito, permettimi di dirti – e l’invito lo rivolgo anche a tutti voi miei cari confratelli presbiteri – che devi renderti disponibile per la celebrazione di questo sacramento, che fa nuovo il cuore dell’uomo. Nel dialogo sacramentale fra il penitente e il confessore si realizza un grande miracolo: viene tolto il cuore di pietra e viene dato un cuore di carne! Non è una lettura psicoanalitica della situazione dell’uomo peccatore che avviene, ma un far passare la grazia di Dio, che tutto rinnova e risana. Quante risurrezioni vedrai nel dialogo sacramentale della riconciliazione!
Testimonia la misericordia facendoti prossimo agli ultimi, ai poveri, agli emarginati, a tutti quelli che non hanno voce e che rischiano di rimanere sempre più soli nella nostra società. La tua vita sacerdotale sia ogni giorno, in ogni contesto, in ogni incontro che realizzerai, rivelazione della misericordia di Dio. Come ha fatto Gesù, che – lo abbiamo ascoltato nel brano del Vangelo – sapeva andare incontro a tutti, donando a tutti la grazia della guarigione. Come è bella e commovente la descrizione che ce ne ha fatto San Luca: “C’era gran folla di discepoli e una gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme, e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti” (Lc, 6, 14-16). Questo è il prete: è l’uomo che sta in mezzo alla gente, che sa donare la Parola e sa guarire con l’efficacia di questa Parola pronunciata nella fede della Chiesa! Ma ricorda, tutto questo ti sarà possibile nella misura in cui vivrai sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi. Impara alla sua scuola, in particolare attraverso la celebrazione dell’Eucarestia e la preghiera costante, ad offrirti insieme con lui al Padre per la salvezza di tutti gli uomini. Con Gesù fatti pane profumato di misericordia per la vita del mondo!
Ti affido a Maria, la nostra Madonna della Madia, i cui occhi misericordiosi in questo momento sono rivolti su di te. La sua icona, giunta novecento anni fa nella nostra città, con la sua austera bellezza ci parla dell’amore immenso di Cristo per noi. Maria c’è perché c’è suo Figlio ed è Lui che ce la dona come Madre, perché possiamo essere sempre custoditi da Lei. Sia Lei a guidare i tuoi passi di apostolo della misericordia, conducendoti in quei luoghi in cui più urge far divampare il fuoco dell’amore di Dio! Fidati di Lei e affidati a Lei in ogni momento e sii certo che non smarrirai mai la strada che conduce al Regno.