È l’ultima domenica dell’anno liturgico. La festa di Cristo, Re dell’universo, si pone a conclusione di tutto l’itinerario che la Chiesa ci ha fatto compiere dalla prima domenica di Avvento: giorni intensi, lo vogliamo sperare, giorni in cui tutti noi ci siamo messi alla scuola della liturgia. La Chiesa ci ha introdotti – è quello che accade in ogni anno liturgico – a una conoscenza sempre più approfondita della persona di Gesù Cristo. L’anno liturgico non è altro che questo: un ripercorrere la storia della salvezza che ha il suo cuore, il suo centro nella persona di Gesù Cristo, il Figlio di Dio diventato Figlio dell’uomo grazie al sì di Maria di Nazareth. Attraverso i tempi forti dell’anno, attraverso le grandi feste, noi siamo stati guidati dalla Chiesa a penetrare il mistero ineffabile che è la persona di Gesù Cristo, per conoscerlo e amarlo: conoscerlo, amarlo e… seguirlo, perché il fine di questo itinerario è la sequela, andare con Gesù, dietro a Gesù. Lo potremo seguire, però, a condizione che lo conosciamo e amiamo sempre di più.
L’anno liturgico ha il suo culmine nella solennità di Cristo Re dell’universo. Nelle ultime settimane dell’anno, ma soprattutto oggi, siamo invitati a guardare in avanti, all’esito finale della storia: quando tutto sarà ricapitolato in Cristo, compariranno i cieli nuovi e la terra nuova e finalmente – come ci ha annunciato l’apostolo Paolo nella seconda lettura – Dio sarà tutto in tutti. Vivremo per sempre immersi nella luce di Dio, nell’amore che è Dio. Lo sguardo, oggi, va a quel Figlio dell’uomo di cui ci ha parlato la pagina del Vangelo di Matteo. Dinanzi a lui compariranno tutti i popoli della terra, quando verrà come Signore, Giudice e Re dell’umanità; verrà per radunare coloro che hanno costruito il suo Regno nella storia, facendoli partecipi della pienezza della vita.
Una visione luminosa, quindi, ma anche drammatica, perché rivela al contempo che chi si sarà reso estraneo alla dinamica del Regno, avrà come destino la morte, la morte eterna. In quel giorno ultimo, quando tutti compariremo dinanzi a Lui, il giudizio verterà sui gesti della carità, sulla nostra capacità di scorgere i lineamenti del Figlio dell’uomo nel volto dei nostri fratelli e sorelle. Carissimi, noi conosciamo in anticipo quello che sarà l’esame finale della vita, ciò su cui ci interrogherà il Figlio dell’uomo, quando verrà come Signore e Re della storia. Che cosa deciderà allora la nostra sorte definitiva? Lo abbiamo sentito nel racconto evangelico: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero nudo e mi avete vestito, straniero e mi avete accolto, carcerato e siete venuti a trovarmi, malato siete venuti a visitarmi. Quando mai Signore abbiamo fatto a te questo? Ogni volta che avrete fatto queste cose al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me. Venite benedetti, venite nel regno preparato per voi”. L’esito, al contrario, sarà di condanna per coloro che non avranno riconosciuto il volto di Gesù nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nel forestiero, nel malato, nel carcerato: “Via, lontano da me, nel fuoco eterno”. Saremo giudicati sull’amore!
Quando il Signore dell’universo verrà per consegnare il regno al Padre – ce lo ha ricordato l’apostolo Paolo nella seconda lettura – e tutto verrà ricapitolato in Lui, primogenito della creazione nuova e primizia dei risorti, è allora che sarà finalmente annientato anche l’ultimo nemico dell’uomo, la morte. Tutto sarà rinnovato e trasformato e ogni cosa rivivrà nella luce di Cristo Risorto! Guardando alla meta finale della storia, siamo dunque invitati ad incamminarci verso l’incontro gioioso con il Signore che viene, desiderosi di vivere per sempre con lui. Il nostro compito è l’annuncio del Regno di Dio, e i mattoni necessari a edificarlo sono le opere della misericordia. Non dobbiamo sciupare le occasioni che Dio ci dà; il tempo lo dobbiamo sostanziare di amore. Possiamo avere tutto nella vita: benessere, salute, successo… ma se manca l’amore, che dà forma alla nostra esistenza, siamo poveri, siamo vuoti. Possedere tante cose produce, a volte, il rischio di chiudersi in un egoismo mortale. Quando si ama, invece, si è liberi, anche se non si possiede nulla, perché la vera libertà non consiste nel volere e poter fare tutto a proprio piacimento. La libertà vera è quella che nasce dall’amore che porta al dono di sé.
Uomo libero è stato il Venerabile monsignor Raffaello delle Nocche: uomo libero perché tutto intriso di amore. Quanto abbiamo ascoltato nella liturgia odierna, egli l’ha incarnato nella sua vita. Ha capito che non poteva sciupare il tempo che Dio gli donava, doveva riempirlo di amore. Nei 38 anni di ministero episcopale qui a Tricarico e, prima ancora, nelle varie responsabilità a lui affidate, ha cercato sempre ed esclusivamente di incarnare l’amore. Uomo pronto ad amare, uomo che si è donato a tutti indistintamente perché libero, non condizionato da niente e da nessuno, e per ciò capace di compiere anche gesti eroici.
Pensiamo a come potevano essere le condizioni di vita negli anni in cui egli è stato pastore di questa Chiesa: per lui vescovo e per tutta la gente una vita difficile! Si usciva dal primo conflitto mondiale e c’era da ricostruire la nazione. Il meridione d’Italia – in alcune zone in particolare – risentiva molto di più della fatica di questo ricominciamento. Ma poi una nuova ecatombe, nel pieno del suo ministero episcopale: una guerra molto più devastante della prima, che in questi luoghi ha avuto effetti nefasti, portando ulteriore povertà, oltre a quella che già c’era. Ma egli non si è tirato indietro, è stato in mezzo al suo popolo e lo ha servito con passione, rendendosi padre e madre al tempo stesso. Sì, perché coloro che sono pieni di amore combinano insieme paternità e maternità, con quelle viscere di misericordia che portano a prendersi cura dei figli. Egli si è sentito padre e custode di tutta quella umanità che la Provvidenza gli aveva affidato. Uno dei tratti più salienti che emerge dalla profilo di Mons. Delle Nocche è proprio questo: l’essere un Pastore che ha amato il suo popolo; lo ha amato così com’era, impegnandosi a conoscerlo innanzitutto, perché un amore senza conoscenza rischia di essere sterile. Lo ha amato donandosi e diventando prossimo di ciascuno, non solo a Tricarico ma in tutti i comuni della Diocesi, anche quelli più lontani.
Le sue mani, che davano corpo al suo cuore, erano anche i collaboratori intorno a lui, a cominciare dai sacerdoti, che sono stati strumento della sua tenerezza verso il popolo. Come ha amato i suoi preti, egli che era stato formatore di preti! Assumendo la responsabilità di questa Diocesi, ha dato un primato assoluto alla cura e alla santità dei presbiteri. Custoditi da Lui, essi sono stati la mano e il cuore del vescovo. Che bello pensare ai preti amati da questo santo pastore e ai preti che oggi operano in questa Chiesa, custoditi dal carissimo don Giovanni. Essi sono gli eredi di quel presbiterio guidato amorevolmente da monsignor Delle Nocche, e io stasera mi unisco al vostro Vescovo, il carissimo don Giovanni, nel dire grazie ai preti che quotidianamente si spendono per i loro fratelli e sorelle.
Ebbene, come Discepole di Gesù Eucaristico, alla scuola di Monsignor Delle Nocche: temprate da una vita ricolma di Eucarestia, siate portatrici della speranza cristiana, che nasce dall’esercizio delle opere della misericordia. Quando si vive la misericordia, fiorisce piena la speranza. Il primo compito per noi cristiani è portare la speranza nel mondo, portare cioè la certezza che c’è un Dio che ci ama ed è vicino a coloro che sono nella prova. Care Sorelle, tenete accesa questa fiamma della speranza attraverso le opere della misericordia; fate sì che il carisma di questo santo Pastore, attraverso di voi, si mantenga sempre fecondo nella Chiesa. Siate testimoni di quella vita che noi attendiamo e che sarà manifesta quando il Figlio dell’uomo ritornerà per ricondurre al Padre il mondo redento. Voi siete chiamate, care Sorelle, a essere profezia del Regno: donne profetiche, con una vita impregnata di santità evangelica.
Ma anche voi, cari fratelli e sorelle di questa Chiesa, dovete essere mani e cuore per dare corpo al lascito spirituale di monsignor Delle Nocche. Egli non si è risparmiato e ha saputo dare speranza a coloro che prima di voi hanno abitato questa terra lucana. Eredi delle generazioni servite dal caro monsignor Raffaello, cercate di rendere visibile la carità nelle forme oggi più incisive. Siate anche voi mani e cuore di questo santo Pastore, andando incontro a tutti i bisogni ben oltre i confini di questo territorio. Allargate lo sguardo verso tutta l’umanità, perché oggi è possibile far arrivare ovunque i gesti della nostra solidarietà, della nostra vicinanza.
Ecco, allora, cosa significa celebrare la memoria di un santo Pastore: non serve solo a richiamare quel che egli è stato, significa riappropriarsi soprattutto della sua eredità, che riguarda tutti, riguarda anche me, insieme al vostro Vescovo, monsignor Giovanni. Noi pastori abbiamo in monsignor delle Nocche un esempio straordinario di dedizione incondizionata al gregge che ci viene affidato. Ringrazio di cuore don Giovanni, che ha voluto che usassi, per questa celebrazione, il pastorale del compianto Vescovo, preziosa reliquia gelosamente custodita qui a Tricarico. Toccando questo pastorale, ho pensato alle sue peregrinazioni apostoliche nella Diocesi, al suo essere uomo di tutti, senza distinzioni né formalità. Chiedo allora al Signore per me, e per il carissimo don Giovanni, di essere anche noi come lui: pastori che si dedicano totalmente al bene del popolo, per far crescere la comunione nella Chiesa e renderla sempre più bella, risplendente della bellezza di Dio!
Mi pare doveroso, al termine dell’omelia, rivolgere con voi a monsignor Delle Nocche un’accorata invocazione:
Venerabile padre Raffaello,
tu hai servito e amato questo popolo con dedizione assoluta!
Ora che sei nel cuore della Trinità,
immerso nella luce di quel Dio
che hai amato appassionatamente,
che hai cercato con la tua fede,
con cui hai dialogato nella preghiera,
ora che vedi questo Dio faccia a faccia,
chiedi per tutti noi di essere uomini e donne che, nella fede,
si impegnano a dare un volto nuovo alla storia,
perché la storia cammini sempre più speditamente verso la sua pienezza,
che verrà quando il figlio dell’uomo tornerà in mezzo a noi.
Accompagnaci, padre e pastore di questa Chiesa di Tricarico, con la tua preghiera
e chiedi alla Madre del Signore
di vegliare su di noi, di vegliare su questo popolo che ti appartiene,
di vegliare soprattutto sulle situazioni di sofferenza, di disagio e di prova
che ci sono in tante case.
Chiedi a Maria che sia Lei la stella
che dà sicurezza nel cammino e speranza a tutti.
Amen.