Omelia per l’inizio del ministero episcopale nella Chiesa di Conversano-Monopoli
Conversano 30 aprile 2016
VI Domenica di Pasqua
Questa sera mi sembra di rivivere l’esperienza dell’Apostolo Giovanni, descritta nel brano del libro dell’Apocalisse che la liturgia ci ha proposto. Anch’io mi sento trasportato dal vento dello Spirito su questa collina conversanese dove svettano i due poli storici della nostra Città, la Cattedrale e il Castello, e mi viene presentata la Sposa dell’Agnello, tutta adorna per il suo Sposo, risplendente della gloria di Dio. I miei occhi, colmi di stupore, contemplano te, Chiesa di Conversano-Monopoli, Sposa dell’Agnello, rivestita di luce, perché sul tuo volto vedo riflessa la luce di Colui che ti ha adornata di bellezza. Davvero il tuo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino (cf Ap 21,11). La gloria di Dio ti illumina e tua lampada è l’Agnello, che per te ha dato la vita, amandoti di un amore eterno.
Utilizzando un’espressione cara al mio Predecessore Mons. Padovano, che saluto e ringrazio di cuore per l’instancabile ministero profuso per 29 anni in questa comunità, ti dico con profonda ammirazione: come sei bella, Chiesa di Conversano-Monopoli. Bella non di una bellezza umana, bella invece perché sei animata dallo Spirito del Risorto, che ti rende viva e luminosa. Sì, sei bella e viva perché di te si compiace il tuo Sposo, che ti ama nella concretezza delle persone che ti compongono. La Chiesa è bella infatti non nell’astrattezza della sua identità ma nella concretezza della vita di chi le appartiene. E stasera lo dico guardando anzitutto questa assemblea orante, variegata e armoniosa nella sua composizione: Fedeli laici, membri delle diverse espressioni della Vita Consacrata, Diaconi e Presbiteri! Lo dirò, con ancora più profonda convinzione, da domani, quando inizierò a percorrere le strade di questo territorio e imparerò a conoscere i luoghi, le persone, le comunità e coglierò i segni di Dio in mezzo a voi. Scoprirò la vostra identità di popolo in cammino, che da secoli annuncia e testimonia il Vangelo dell’Agnello immolato in questo territorio, dove il Creatore è stato generoso nel compiere meraviglie nella natura.
Oggi, inviato dal Santo Padre Francesco, io vengo in mezzo a voi, cari fratelli e sorelle, per lavorare in questa vigna, per custodire, come amico dello Sposo, colei che appartiene per sempre a chi l’ha riscattata e redenta. Non dimenticare mai, cara Chiesa di Conversano-Monopoli, che tu sei di Cristo, gli appartieni; sappi che Egli non vuole perdere nessuno di quelli che ha redento con il suo Sangue, non vuole perdere nessuno di quelli che nel Battesimo si sono misticamente uniti a lui con legame sponsale. Per questo sceglie alcuni tra i discepoli per farli pastori, perché sul Suo esempio e con il Suo aiuto sappiano vigilare e guidare nell’amore coloro che gli appartengono. Li chiama amici e li rende partecipi di tutto ciò che è Suo e del Padre (Gv 15,15). Solo così potranno essere guida e sostegno di coloro che vengono loro affidati.
L’amico dello Sposo divenuto Pastore, non può non fare suoi i sentimenti dell’Apostolo Paolo, che scrivendo ai cristiani di Corinto e avvertendo tutto l’amore per quella comunità, così si esprime: “Io provo per voi una specie di gelosia divina: vi ho promesso infatti ad un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta” (2Cor 11,2). Posso dirvi davvero che mio unico intendimento, nel ministero che mi accingo ad iniziare, è esattamente questo: farvi crescere nella fedeltà a Colui che “ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5,25-27). A questo mi sono impegnato quando ho ricevuto nell’Ordinazione episcopale l’anello. Nel consegnarmelo, il Vescovo ordinante mi ha detto: “Ricevi l’anello, segno di fedeltà. Nell’integrità della fede e nella santità della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo”. Custodire nella fedeltà la Chiesa significa farla crescere nella santità, perché giorno dopo giorno possa somigliare sempre più al suo Sposo. Per questo la Chiesa non si deve mai stancare di guardare al suo Signore, certa che “a chi lo cerca non manca alcun bene” (Sal 34, 11).
Il ministero del Vescovo è perciò innanzitutto servizio alla santità della Chiesa. Sempre il giorno della mia Ordinazione, questo mi è stato raccomandato, quando mi è stato chiesto: “Vuoi prenderti cura, con amore di padre, del popolo santo di Dio e con i presbiteri e diaconi, guidarlo sulla via della salvezza?” Guidare il popolo di Dio sulla via della salvezza, altro non è che farlo camminare nella santità, permettendogli da fare una forte esperienza di Dio. Nella pagina del Vangelo di S. Giovanni che abbiamo ascoltato poc’anzi, Gesù ci ha detto proprio questo. Noi siamo chiamati a vivere di Dio, realizzando con Lui una profonda comunione di vita, che diventa inabitazione della Trinità nella vita del credente.
Così Gesù sviluppa la sua proposta: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Tutto parte dall’esperienza dell’amore verso di Lui, il Maestro che ha parole di vita eterna. Solo se si ama Gesù si è capaci di accogliere la sua Parola e di osservarla. Infatti, “chi non mi ama, non osserva le mie parole”, aggiunge Gesù. Senza l’amore ogni cosa diventa un peso insopportabile e la proposta del maestro diventa irrealizzabile, direi quasi utopia da sognatori. Solo l’amore apre il cuore alla fede in Gesù di Nazaret, riconosciuto come il rivelatore del volto del Padre, e solo l’amore credente diventa capace di accogliere la Parola del Maestro. E solo l’amore porta a dare vita alla Parola, realizzandola, spesso con fatica, nel quotidiano. Tutto questo produrrà la risposta del Padre: “il Padre mio lo amerà”. Chi nell’amore osserva la Parola del Figlio può esser certo che avvertirà la gioia dell’amore del Padre. È proprio vero: quando la Parola si fa carne nella vita di ogni giorno, si avverte una pace interiore. Non scompaiono le prove, ma si ha una forza in più che dà coraggio. Questa forza è proprio l’amore del Padre che ci avvolge e abbraccia con tenerezza.
Ma Gesù compie un passo ulteriore, quando afferma: “Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. La creatura diventa dimora della Trinità. Dio viene ad abitare nell’uomo! Questa è la santità. Non è tanto uno sforzo etico, frutto di un volontarismo sterile, quanto piuttosto un far posto a Dio nella propria vita perché tutto – intelligenza, affetti, azione – sia ispirato e plasmato da Lui. Solo un cuore impregnato di Dio riesce a scegliere secondo verità, ma, soprattutto, a realizzare quanto si è scelto. La vita morale non può che essere conseguenza di un rapporto vitale con Dio. Sì, è proprio vero quanto amava ripetere il compianto Mons. Carlo Ferrari, già Vescovo di Monopoli, “la mistica viene prima dell’ascetica”.
L’impegno a far crescere nella santità la Chiesa che mi è affidata, mi porta ad affermare in maniera assoluta il primato di Dio nell’esercizio del ministero. Io vengo in mezzo a voi per parlarvi di Lui, per farvi conoscere e farvi sperimentare la Sua misericordia, che è tenerezza sconfinata che si china sulla fragilità umana per guarirla. Credetemi, non desidero altro che trasmettervi l’Amore, cioè Dio. Insieme ai miei fratelli Presbiteri – ai quali rinnovo gratitudine, stima, affetto e con i quali vorrò operare in stretta unità di intenti – mi impegno ad essere testimone di questo Amore. Io spero che, guardando a noi pastori, al nostro stile di vita, tutti voi possiate avvertire quella nostalgia di Dio che vi porti a cercare il Suo volto. Insieme ai miei preti, non mi stancherò di ripetervi, per averlo sperimentato noi per primi: “guardate a Lui e sarete raggianti, non dovranno arrossire i vostri volti, … perché il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato” (Sal 34,7.19).
Essere modelli del gregge, come ci chiede l’apostolo Pietro (cf 1Pt 5,3), credo che solleciti proprio a questo: a far vedere con la nostra vita che Dio viene prima di tutto e di tutti e nulla deve essere anteposto al Suo amore.
Fare questo non deve comunque significare vivere una spiritualità disincarnata, chiudendo gli occhi dinanzi ai drammi umani, disinteressandosi del prossimo. Anzi, se c’è genuinità nell’esperienza di Dio succede proprio il contrario, perché il Signore provoca all’eroismo della carità: “Caritas Christi urget nos”, ovvero: l’amore di Cristo che ci possiede, ci spinge ad andare verso i fratelli. Come insistentemente sottolinea Papa Francesco nei suoi innumerevoli interventi durante questo Anno Santo, siamo chiamati a farci strumenti di misericordia nelle diverse situazioni di vita. Il suo invito a riscoprire, nella prassi personale ed ecclesiale, le Opere di misericordia corporali e spirituali è una proposta concreta per dare visibilità a questa presenza santificatrice della Trinità nella nostra vita. Proprio perché Dio vive in noi, siamo capaci di gesti di ordinaria e quotidiana carità. Perché Lui ci dona occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli; la luce della sua Parola ci consente di confortare gli affaticati e gli oppressi e di impegnarci lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti. E solo così la Chiesa, attraverso noi sue membra, potrà essere testimonianza viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace e gli uomini potranno aprirsi alla speranza di un mondo nuovo (cf Preghiera Eucaristica V/C).
L’inizio del ministero del nuovo Vescovo in una diocesi suscita in tutti attese e molti si pongono domande su quel che farà, quale sarà il suo stile, come si muoverà. Ci si interroga su quello che potrebbe essere il suo programma, quali le priorità che vorrà proporre. Domande legittime, se vogliamo, ma – capite anche – domande che finiscono col diventare inutilmente capziose e fuorvianti. Credo che tutto si supera se si tiene conto che il programma di un Vescovo non può che essere questo: Gesù Cristo! È Lui che deve annunciare, a Lui deve condurre tutti e lo farà nella misura in cui egli per primo è stato afferrato, conquistato da Gesù Cristo (cf Fil 3,12). Alla scuola dell’Apostolo Paolo, il Vescovo non può che essere un innamorato di Gesù Cristo, non può che avvertire in tutte le fibre del suo essere l’amore appassionato per Lui. Deve poter dire con Paolo: “Per me il vivere è Cristo!” (Fil 1,21). Proprio perché vive di Lui, deve avvertire il bisogno e la gioia di annunciarlo, di testimoniare che solo nel suo nome c’è salvezza. La Buona Notizia dell’amore di Dio, l’Evangelo della salvezza è il tesoro posto nelle mani del Vescovo perché possa dispensarlo con abbondanza ai suoi fedeli.
Il Giorno della mia Ordinazione episcopale l’Evangelo ha coperto il mio capo, la mia persona, quasi a voler dire che tutta la mia vita deve essere sotto la luce della Parola del Signore, perché sia essa a guidare ogni mio pensiero, ogni mia parola, ogni mio gesto. E poi l’Evangelo mi è stato consegnato dicendomi di annunziare “la Parola di Dio con grandezza d’animo e dottrina”. È quello che vorrò fare con voi, cari fratelli e sorelle, della Chiesa di Conversano-Monopoli. Come hanno fatto i miei venerati Predecessori – ai quali va tutta la mia gratitudine, che diventa preghiera per loro – voglio donarvi il pane profumato di freschezza della Parola di Dio. È una Parola viva perché non passa mai di moda, è eterna!
È chiaro, questa Parola va attualizzata nell’oggi della storia, perché parli all’uomo del nostro tempo. Lo faremo insieme, presbiteri, consacrati, fedeli laici, ponendoci tutti in docile obbedienza allo Spirito di verità (cf Gv 14,17), che come abbiamo ascoltato nel brano del Vangelo, il Padre ci manderà nel nome di Gesù, e sarà lui ad insegnarci ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che lui, il Maestro, ci ha detto (cf Gv 14, 26). Lo faremo valorizzando tutte le occasioni di incontro, personale e comunitario; lo faremo in particolare negli organismi di partecipazione che la Chiesa ci indica come luoghi di discernimento comunitario.
La pagina degli Atti ascoltata nella prima lettura ci offre un esempio mirabile di tutto ciò. Nell’evento della prima assemblea ecclesiale, chiamata a discernere una situazione particolare di inculturazione del Vangelo in un contesto non esclusivamente giudaico, sono stati all’opera lo Spirito Santo e la comunità dei fratelli, sotto la guida degli Apostoli, e insieme hanno scorto la volontà di Dio, attuandola nelle decisioni che vengono prese.
Cari fratelli e sorelle, intraprendiamo il nostro cammino con fiducia reciproca, sentiamoci uniti nell’amore di Cristo, avvertiamo tutti di essere parte di un corpo meraviglioso che è la Chiesa. È il corpo di Cristo, fatto di tante membra, diverse e tutte necessarie. Manteniamoci uniti, gustando la bellezza della comunione ecclesiale, che mai, dico mai, deve essere lacerata dalle nostre fragilità e miserie. Tra di noi c’è Cristo Risorto e questo ci basta per superare ogni contrapposizione e divisione. E il Risorto ha guidato la nostra Chiesa nel corso dei secoli, da quando il seme della Parola è stato seminato tra noi, per attecchire nel cuore di tante creature umili e fedeli. Quanta santità vissuta nel nascondimento, direi una santità feriale, che ha saputo incidere profondamente nella trasmissione della fede. Stasera ricevo da voi, cari fratelli e sorelle, questa preziosa eredità, che sono chiamato a custodire e a trasmettere alle future generazioni. E qui il pensiero corre a voi, cari ragazzi e giovani, speranza della nostra Chiesa! Lo faremo insieme, sulla scia dei testimoni della fede che ci hanno preceduto. E io ringrazio Dio per i Pastori che hanno servito questa Chiesa, certo che sapranno vegliare sul mio ministero con la loro intercessione.
Ed ora alziamo lo sguardo verso la Madre del Signore, la Madre della Chiesa, tanto amata e venerata tra il nostro popolo. I titoli con cui viene invocata nelle nostre città e nelle nostre contrade sono innumerevoli e tutti dicono la tenerezza filiale con cui si guarda a Lei. Maria di Nazaret ha realizzato in maniera incomparabile tutto quello che la Parola di Dio oggi ci ha detto: è la dimora della Trinità, perché ha ascoltato, custodito e vissuto la Parola di Dio. In Lei questa Parola si è fatta carne, per essere salvezza per tutta l’umanità. Dal Suo grembo purissimo è venuto a noi il Salvatore. Lei è maestra di vita. Rifugiamoci tra le Sue braccia e avvertiremo i palpiti del Suo cuore di Madre mentre ci dice, indicandoci il Suo Figlio: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Sì, stasera tutti insieme, Chiesa di Conversano-Monopoli, vogliamo accogliere questo invito di nostra Madre, dando concretezza alla parola di Gesù nel nostro lavoro apostolico. Non stanchiamoci di guardare a Lui e ascoltiamolo mentre ci parla. Solo così saremo Chiesa che da luce al mondo! E a Maria ci rivolgiamo:
Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio,
Santa Madre di Dio:
non disprezzare le suppliche di noi
che siamo nella prova,
e liberaci da ogni pericolo,
o Vergine gloriosa e benedetta.